Dopo il grande successo della My Antonia – la prima collaboration beer tra Birra del Borgo e il birrificio statunitense Dogfish Head – Sam Calagione, il birraio della Dogfish protagonista della popolare trasmissione Il Boss della Birra, in onda su Discovery Channel, è tornato in Italia per una seconda avventura insieme a Leonardo Di Vincenzo di Birra del Borgo. Ai due, questa volta si è unito anche Teo Musso del birrificio piemontese Baladin, terzo socio della Birreria all’ultimo piano di Eataly New York che ha portato la birra artigianale italiana d’eccellenza nella Grande Mela. L’obiettivo era quello di realizzare a Borgorose, sede di Birra del Borgo, una “birra antica” ispirata alle bevande fermentate in uso presso le antiche popolazioni italiche, etrusche in particolare. La ricetta è stata, infatti, ricreata in base ai ritrovamenti relativi a bevande fermentate e ingredienti presso siti archeologici di tutta Italia.
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Luperini – Roma
Con l’apertura di Tonda – la pizzeria “sorella” di Sforno – la zona nei dintorni di piazza Sempione ha guadagnato parecchi punti in quanto a interesse gastronomico, ma già da diversi anni l’intrico di vie con i nomi di valli a ridosso della Nomentana meritava una sosta da Luperini.
Un bar-pasticceria a gestione familiare, punto di riferimento nel quartiere per la pasticceria “di routine” e quella da ricorrenza, con un ricco assortimento di torte, paste, biscotti e dolciumi di vario genere, un buon caffè nelle sue varie declinazioni.
Insomma uno di quei posti dove ci si ferma volentieri per la prima colazione o il vassoio delle paste della domenica. Ma se passate da qui in orario (o semplicemente con la voglia) “da salato”, non perdete la vera specialità della casa: i mini-tramezzini (anche in versione canapè per l’aperitivo) con un pan brioche home-made soffice e saporito, una presenza discreta di maionese e farciture nettamente sopra la media: dai super-classici con pomodoro e mozzarella o formaggio e prosciutto cotto, a quelli più golosi con insalata di pollo, con i gamberi o con il salmone affumicato, nettamente il nostro preferito.
Antica Pizzeria Pepe – Caiazzo
Franco Pepe ha lasciato la pizzeria di famiglia per aprire un nuovo locale. Qui tutte le informazioni. L’Antica Pizzeria Pepe resta comunque in attività.
Ora che la pizza sembra essere la nuova frontiera gastronomica e il nuovo terreno di gioco per sperimentazioni “lievitistiche” e provocazioni gourmet, è fondamentale che resti qualcuno a rivendicare il ruolo dell’artigiano, e a farci ricordare cos’è la tradizione della pizza napoletana. Franco Pepe è tra questi: non perché sia contrario all’innovazione – anzi, lui è per la “formazione perenne” – ma diciamo che è uno capace di guardare avanti senza dare le spalle al passato. Che nel suo caso sono due generazioni di fornai e pizzaioli, tanta passione e un grande rispetto per la materia “impasto”.
Un mix di farine preparato ad hoc personalmente, lunga lievitazione e una lavorazione manuale – perché solo il tatto e l’esperienza possono dire quando si è arrivati al punto giusto – sono alla base di un impasto incredibilmente soffice e leggero, talmente digeribile da permettervi di mangiare anche due pizze di seguito senza risentirne.
Questo vale sia che si tratti dei grandi classici – ottima la margherita, perfetta in ogni sua componente – così come delle pizze più particolari, dove spiccano tra gli ingredienti le eccellenze gastronomiche del territorio casertano. Che in questo caso non vuol dire gamberi crudi e foie gras, ma rivisitazioni filologiche (vedi la mastunicola, l’antenata della margherita pre-pomodoro, con strutto, pepe, basilico e pecorino che qui viene sostituito dall’intenso Conciato Romano, o il ripieno con scarole messe a crudo, capperi, olive Caiazzane e alici di Cetara). Super saporita ma squisita anche quella con provola affumicata e salumi di maiale Nero Casertano, per chi ama i sapori forti. Buonissima la “pizza fritta”, con un impasto differente, studiato appositamente.
Una delle pizze “napoletane” più buone d’Italia.
Soul Food – Cronache di cibo e di musica
di Daniele De Michele aka Don Pasta
Leggere un libro di Don Pasta per me è un po’ come andare al mio ristorante preferito a Roma (per la cronaca, Cesare al Casaletto). Lo faccio quasi ad occhi chiusi, sapendo cosa troverò, non perché l’offerta sia banale o ripetitiva ma perché ho la massima fiducia nel padrone di casa. So che la materia prima è garantita, che le preparazioni sono genuine e popolari quanto basta, ma sempre calibrate, e sono pronta ad affidarmi ai suoi consigli per provare le novità che non mancano mai.
E’ così anche per il terzo libro del Don, Soul Food, che segue la falsariga dei primi due, Food Sound System e Wine Sound System. Gli ingredienti son quelli: musica, cibo, vino, storie. Storie, soprattutto: quelle quotidiane e quelle che hanno fatto la Storia, quelle di piccoli e grandi eroi, quelle di chi scrive e di tutti noi, perché è delle piccole cose che sanno parlare meglio i poeti, o meglio delle grandi cose attraverso quelle piccole. E non a caso la prefazione – l’ultima volta affidata la grande Paolo Fresu, uno che di solito si esprime con i suono più che con le parole ma che si è rivelato un grande amante di vini, cibi e compagnia – in questo caso è affidata all’amico Alessandro Mannarino, uno dei migliori cantastorie in musica della nostra generazione.
Nei racconti che DonPasta ha raccolto in 5 anni di collaborazione con il settimanale Left si intrecciano e si abbinano ritmi e personaggi, sapori e ricette, raccolti anch’essi ai quattro angoli del mondo – dal Salento all’Africa, passando per una Roma ormai sparita – o dietro casa con gli occhi e il cuore da migrante, mescolando suoni e aromi che di solito non stanno insieme, nel nome del metissage che scandisce la nostra epoca.
Peccato solo che stavolta il “cuoco” sia stato un po’ frettoloso, e che la lettura a volte s’intoppi nei troppi refusi come un vecchio vinile che salta. Perché la bravura di Daniele De Michele – dj, economista e cuoco di stanza a Tolosa, o gastrofilosofo come si definisce lui – sta proprio nel ritmo delle parole, nel saper far diventare poesia, o forse quasi litania, il quotidiano: solo lui è capace di far diventare liriche due pagine sulle melanzane sott’olio, “la toppa che si mette sul cuore”, la provvista di calore per l’inverno dell’emigrante dal Sud verso Nord. Abbinate, niente di meno, ai suoni borderline dei Calexico, e a una birra ghiacciata.
Motus – Napoli
Questo locale ha cessato la propria attività. Scopri gli altri ristoranti in Campania recensiti da Via dei Gourmet.
A due passi dal Municipio di Napoli e dall’imponente Maschio Angioino, un locale “sempre in movimento”, aperto dal primo mattino alla sera con le sue diverse anime: bar, pasticceria, gelateria, champagneria, ristorante. Troppe cose per farle tutte bene, dite? Può essere, ma dipende sempre da chi c’è dietro.
Qui per esempio, a gestire la sala c’è Agostino Cacace, per tanti anni al Radici – uno dei primi ristoranti che hanno provato a far soffiare una ventata d’aria nuova sulla ristorazione cittadina. In cucina, dopo la parentesi affidata a Giuseppe Guida del ristorante Nonna Rosa di Vico Equense, che ha introdotto la riuscita formula dei murzilli d’autore, è da poco arrivato il bravo Gioacchino Catalano, che ha messo insieme esperienze in tutta Italia, dal Savini di Milano al lussuoso Grand Hotel Cala di Volpe, a Porto Cervo. Il reparto pasticceria-cioccolateria poi è affidato a Pasquale Marigliano, tra i migliori d’Italia, famoso per la bellezza – oltre che la bontà – delle sue creazioni.
Insomma, i “numeri” ci sono e venendoci a cena – a pranzo c’è la formula del piatto unico a 10 euro, e ci pare una bella idea perché politici e assessori hanno altro da fare che stare a tavola due ore – non ve ne pentirete.
Il consiglio è appunto di aprire con i murzilli d’autore che volendo tradurre – ma si sa, il napoletano è spesso una lingua intraducibile – suonerebbe un po’ come “assaggini”. Meglio murzilli, no?! E allora, via con gli otto buonissimi piattini che cambiano – come il menu – in base a stagione e mercato. Per esempio, il polpo in insalata con carciofi e lavanda, il vasetto di lenticchie con vongole veraci e scorza di limone, l‘alice fritta con ricotta e salsa alla scapece, il pacchero ripieno di ricotta e salame panato e fritto, la crocchetta di verdure, la tenera polpetta con fagioli borlotti. Se volete proseguire potete scegliere tra due o tre primi e altrettanti secondi (la cucina a vista è bella ma mini e tutte le preparazioni sono espresse): buoni per esempio gli strascinati con gamberi e caviale di melanzane e il trancio di palamito con scapece.
Per chiudere, naturalmente, i dessert a tutto cioccolato di Marigliano. Anche sorbetti e gelati artigianali sono ottimi, e valgono una sosta anche tutta dedicata a loro. Da bere diverse etichette di pregio di Champagne e Franciacorta e una bella scelta di vini da tutta Italia. Keep on movin, cantava Pino Daniele. Eh sì, pure lui.
Taberna – Palestrina
Ora che la birra artigianale sta diventando sempre più di moda e che Roma è la capitale di questa tendenza, è facile pensare di aprire un locale “a tutta birra” in città. Meno scontata la stessa scelta se la si è fatta qualche anno fa, e per di più in una zona che non sembrerebbe certo all’avanguardia in tema eno-birro-gastronomico.
E invece ci hanno visto lungo i fratelli Marco e Irma Valente (lui in sala e alla mescita, lei in cucina ma con ampio interscambio di ruoli) che, spinti dalla passione per la birra artigianale, hanno saputo fare di questo bel locale nel centro di Palestrina il punto di riferimento in zona per tutti gli amanti della birra, e in particolare per i prodotti di Birra del Borgo, birrificio artigianale di Borgorose di cui la Taberna è diventato circa un anno fa “primo locale ufficiale”.
Così, appena arrivati, potrete dissetarvi con una delle birre del Borgo alla spina – bellissimo l’impianto a vista – per poi sedervi a uno dei pochi tavoli nella sala con il muro in pietra viva sul fondo e rimandi brassicoli alle pareti.
In menu, piatti piuttosto rustici ma curati e mai banali, insomma qualcosa di diverso dalla più trita “cucina alla birra” e che riesce a mettere d’accordo sia gli affamati (che vogliono soprattutto tamponare i litri di birra bevuti) – anche grazie alle porzioni sostanziose – sia chi cerca qualche soddisfazione in più per il palato. Per esempio, gli ottimi “involtini primavera” con broccoletti, guanciale, mostarda di cipolla rossa e riduzione di salsa di soia o il prosciuttino d’oca con bruschette portato in tavola intero, da affettare e dispensare ai commensali. Buone anche le fettuccine con guanciale di Bassiano, crema di broccoli siciliani e ricotta di pecora, impegnativi ma saporiti i ravioli di ricotta e pere con fonduta al gorgonzola e noci. Se ce la fate, sono tutte di buona qualità le carni, tra cui il galletto alla birra.
Da bere naturalmente birra a go-go (oltre 100 etichette in gran parte artigianali, tra cui la TabernAle, birra dedicata sempre made in Borgorose) e anche una bella scelta di vini laziali con una selezione di produttori biologici e biodinamici.
Si organizzano spesso serate a tema ed eventi, tenete d’occhio il blog!
N.B. Il locale è aperto anche a pranzo dal martedì al venerdì, su prenotazione sabato e domenica. Di sera invece è aperto tutti i giorni tranne il lunedì.
Turchia: Gozleme, dondurma e camini di fata
Un itinerario in Turchia tra posti incredibili e street food, da Istanbul all’Anatolia
Nonostante Istanbul sia ormai una città moderna e cosmopolita, piena di indirizzi trendy per provare quella che viene già definita la nuova cucina anatolica, uno dei riti gastronomici della “capitale” turca resta lo street food: kebap e boregi la fanno sempre da padroni, ma vale la pena anche fermarsi a mangiare le tante varietà di gozleme, delle specie di crêpe che vengono farcite con ingredienti vari – patata, formaggio, verdure – e poi cotte su una superficie di metallo rovente.
Passeggiando lungo le stradine di Beyoglu poi, a ridosso della Istikal e intorno alla Torre di Galata, ci si può immergere nell’allegra atmosfera delle meyhane (taverne) a fare il pieno di raki (distillato di anice da allungare con l’acqua) e meze (antipastini) o scoprire l’anima neo-hippie di Istanbul.
Scendendo verso il mare si trova il caratteristico mercato del pesce, dove volendo ci si può far cucinare quel che si acquista. Attraversando il ponte di Galata, si incontrano ancora, oltre ai tanti pescatori che aspettano che qualcosa abbocchi all’amo, i venditori ambulanti di cozze, da mangiare appena aperte con un po’ di limone, o di ciambelle al sesamo, i simit.
Ma siamo sempre in Europa.
Attraversando il Bosforo (possibilmente in traghetto) può iniziare il viaggio verso un altro mondo.
Dalla stazione di HaydarPasa – regalata al Sultano ai primi del ‘900 dal Kaiser Guglielmo di Germania, come nodo strategico per i commerci con l’Est – parte il comodissimo Ankara Express, treno notturno che in nove ore e mezza collega Istanbul alla capitale. Ovvero, come addormentarsi in Europa e rivegliarsi in Asia, ben riposati da una notte trascorsa nelle confortevoli cuccette.
Da qui, inizia la scoperta di un altro mondo, anche dal punto di vista gastronomico. Scordatevi ristoranti eleganti e cucina internazionale. Se si decide di partire per un viaggio on the road alla scoperta della Turchia interna le opzioni per rifocillarsi saranno soprattutto piccoli negozietti e “rosticcerie”. Sarà facile scoprire che ogni località ha le sue specialità e che spesso i locali sono specializzati in un solo tipo di preparazione, che sia dolce o salata. E anche che – per alcune di esse – ci sono degli indirizzi che non temono paragoni.
Ecco quindi i nostri suggerimenti sulle cose che vale la pena vedere assolutamente, le specialità tipiche e gli indirizzi da non perdere per assaggiare, almeno una volta nella vita, bakhlava, kunefe e dondurma migliori della Turchia, e dunque del mondo. Anche a costo di qualche “piccola” deviazione. E per non farsi mancare un po’ di cultura, un luogo mistico dove assistere – in religioso silenzio – alla vera danza dei dervisci rotanti.
1) Ad Ankara, da non perdere il bellissimo Museo delle Civiltà Anatoliche, premiato nel 1997 – in anticipo sui tempi, forse come segno di beneaugurio – come Miglior Museo Europeo. Ricavato in quello che un tempo fu il magazzino del mercato ottomano di Mahmut Pasa e in un antico caravanserraglio, trasformati per volere di Ataturk in questo interessante museo, racchiude una serie impressionante – per quantità e qualità – di testimonianze di tutte le diverse popolazioni che si sono succedute in Anatolia Centrale, dal Neolitico in poi: Assiri, Ittiti, Frigi, Greci, Romani, Romani, Bizantini, Selgiucidi, Ottomani. Ognuno ha lasciato i segni del proprio passaggio, conservati in ottimo stato nel Museo e provenienti dai maggiori siti archeologici della zona.
2) Nei pressi dell’antica città di Malatya – la Melitene dei Romani – crescono le migliori albicocche del Paese, che i Turchi mangiano soprattutto essiccate. Fermatevi in qualche bazaar locale per comprarne in abbondanza.
3) A Karamanhmarash, moderna cittadina senza apparenti attrattative, si trova il miglior dondurma che ci sia: è un insolito gelato a base di latte di capra di montagna (almeno nella sua versione originale) con abbondante aggiunta di salep (farina ottenuta dal tubero di un’orchidea selvaggia) e resina di mastic, agenti addensanti che danno la particolare consistenza filamentosa. Il gelato è infatti lavorato come una sorta di pasta filata, e viene servito al piatto, con coltello e forchetta. Anche se ormai è diffuso in tutto il paese in versioni aromatizzate, meno dense e nei coni da passeggio (ma è inutile leccarlo!), per assaggiare l’originale e gustoso dondurma vale la pena di arrivare fino qui e sedersi da Yasar, caratteristico locale della famiglia che è anche titolare dei marchi leader dell’industria gelatiera turca.
4) I lahmacun (pron. lamajun) sono delle piccole “pizze” condite solitamente con carne macinata e salsa di pomodoro, più o meno piccanti. Si mangiano accompagnati dall’ayran – bibita a base di yoghurt allungato con acqua e leggermente salato, piuttosto acida, che pare sia molto salutare per la flora intestinale – o per chi ne ha il coraggio con lo salgam, bevanda a base di carote rosse e barbabietole fermentate e speziate, specialità della zona tra Adana e Mersin, nell’antica Cilicia. Anche questo pare essere un toccasana, se riuscite a mandarlo giù.
5) Patrimonio dell’Umanità Unesco, la Cappadocia fu abitata fin dai tempi più remoti come dimostrano i tanti siti archeologici come le città sotterranee di Derinkuyu e Kaymakli o le chiese scavate nella roccia a Goreme, vero e proprio museo a cielo aperto. Monaci e fedeli protocristiani in epoca bizantina, scavarono nelle formazioni tufacee tipiche del paesaggio della Cappadocia chiese e monasteri che conservano ancora, grazie soprattutto alla scarsa presenza di luce, suggestivi affreschi. I più belli sono quelli della Karanlik Kilise, la Chiesa Buia, in cui l’unica fonte di luce era l’ingresso. Ma l’attrattiva principale della Cappadocia è il suo paesaggio davvero unico, caratterizzato dai cosidetti camini delle fate. Ancora oggi, nel grazioso villaggio di Uchisar, è possible visitare le case nella pietra accolti da gente del luogo, come quella di Ismail Kutlugun, in cambio di una piccola consumazione. D’altronde, bere un caffè turco o un tè in un’autentica casa trogloditica, riposandosi un po’ dalle fatiche del viaggio, non è per nulla una cattiva idea.
6) Finché ci si trova in zona, vale la pena approfittarne per andare ad assistere alla cerimonia dei dervisci rotanti: non una versione turistica ma una vera semà, sessione di preghiera sufi, nonostante sia aperta ai visitatori (rispettosi) è quella proposta da Sarhuan, centro culturale (e oggi anche struttura di ospitalità) ricavata in un antico e affascinante caravanserraglio del 1200.
7) Uno dei luoghi più suggestivi dell’Anatolia è il Nemrut Dagi. Il Monte Nemrut, una delle cime più elevate della catena dell’Antitauro, nell’Anatolia Sud-Orientale, si trova all’interno dell’omonimo Parco Nazionale. Una volta varcato l’ingresso del Parco non resta che percorrere in auto o con gli scalcinati pulmini locali la ripida strada che porta alla biglietteria, e poi avventurarsi a piedi per il sentiero che conduce in cima. Qui, sul cucuzzolo di una piramide di ciottoli neri, si trova cio’ che resta del megalomane progetto di Antioco I Epifane, figlio di Mitridate che si era proclamato re della provincia seleucide della Commagene. Antioco, vissuto tra il 64 e il 38 a.C., volle far costruire questa sorta di monumento funebre che celebrava la sua presunta discendenza dagli dei. Sui due versanti terrazzati della cima fece erigere grandi statue sedute di divinità come Apollo e Zeus, accanto alla sua. Mentre i corpi delle statue sono rimasti in piedi, almeno nella terrazzo orientale, le teste sono rotolate a causa di terremoti, e oggi forniscono un suggestivo ed ammaliante paesaggio, sistemate davanti ai rispettivi corpi o spuntando dalla neve che ricopre durante quasi tutto l’anno la vetta. Le sistemazioni nei vicini villagi come Karadhut sono alquanto spartane, ma vale la pena affrontare un po’ di scomodità per salire in cima al Nemrut all’alba o al tramonto, e per godere del meraviglioso panorama e della pace assoluta che c’è qui.
8) A Gaziantep – famosa per la sua eccellente cucina, ospita persino un museo dedicato alla gastronomia – è d’obbligo una visita al moderno museo dove sono esposti alcuni straordinari mosaici, inclusa la famosa “ragazza zingara” con i suoi affascinanti ed enigmatici occhi. Nelle vie intorno al bazar si trova uno degli indirizzi più golosi della Turchia, meta di un vero e proprio pellegrinaggio gastronomico da parte di turisti e non: il nuovissimo negozio di Imam Cagdas (quello vecchio, a due passi, è ormai in abbandono) dove si sfornano quelli che sono considerati i migliori bakhlava dell’intero paese, preparati con una ricetta tramandata da generazioni e I migliori ingredienti, a cominciare dai pistacchi locali, i più rinomati. Buonissimi.
9) Antiochia di Siria, centro molto importante in età ellenistica, fu annessa all’Impero Ottomano nel ‘500. Inclusa nel Protettorato francese di Siria fino al 1938, fu riannessa alla Repubblica turca dal governo di Ataturk, ma in molti la considerano – a dir la verità con un po’ di disprezzo – ancora una città araba, e tra i suoi abitanti è piuttosto diffuso un forte attaccamento alla Siria. Paradossalmente però ad Antiochia – dove nel giro di pochi metri è possible incontrare diverse moschee, una sinagoga, una chiesa ortodossa e anche una graziosa chiesa cattolica gestita da un prete italiano – si respira un’atmosfera molto più rilassata e mediterranea che altrove. Anche qui c’è un immancabile bazaar coperto, e un interessante museo che conserva bellissimi mosaici. Dopo la visita, è d’obbligo sedersi in uno dei locali che offrono il kunefe, la specialità locale (in lotta con Sanliurfa, la città natale di Abramo): una sorta di “pizza” di pasta kataifi farcita di formaggio e pistacchi, che viene servita calda irrorata da un dolce sciroppo.
10) Non può mancare infine un assaggio del famoso caffè turco: non abbiate fretta e aspettate prima di berlo, in modo da far depositare la polvere sul fondo e bere solo il gustoso liquido caldo e avvolgente. Molto buono quello servito con golosi cioccolatini del Beyzade Hayal Kahvesi (Kemeralti 876 , Konak Merkez,) a Izmir, città ancora indecisa tra tradizione e modernità che sa regalare momenti di relax molto piacevoli.
Scopri gli altri itinerari gastronomici Leggi anche: Istanbul in pillole |
Ciak, si mangia: 10 indirizzi per l’estate in Cilento
Benvenuti al Sud, il fortunatissimo film di Luca Miniero remake del francese Giù al Nord, è stato girato a Castellabate, un grazioso paesino – in realtà sparso sul territorio – della costiera cilentana. Poco più a Sud, a Pollica, c’era uno dei set del bel film storico Noi Credevamo, di Mario Martone. Sui gusti cinematografici non si discute, ma qualche suggerimento gastronomico per scoprire il “meglio mangereccio” di questa magnifica regione all’estremo sud della Campania ci sentiamo di darvelo. Ecco, dal nord al sud del Cilento – cioè da Agropoli a Sapri, pressappoco, però scendendo fate anche una sosta a Capaccio per comprare un po’ di mozzarella e di yogurt di bufala da Vannulo – i nostri 10 indirizzi da non perdere (quasi tutti low cost).
10 indirizzi per l’estate in Cilento:
1) A Torchiara, nell’entroterra cilentano, c’è l’Antica Gelateria Di Matteo. Non perdete l’occasione di conoscere di persona il gentilissimo Raffaele Del Verme (che ha ereditato da nonno e padre l’arte).
Di Matteo Antica Gelateria, piazza Andrea Torre, 13-15, Sant’Antuono di Torchiara, tel. 0974 831012.
2) A Cicerale, paese famoso per i ceci, fermatevi (prenotando) all’agriturismo Corbella di Giovanna Voria, che prepara fantastiche ricette cilentane soprattutto a base di ceci, raccolte anche in un libro, Cucinare con i ceci.
3) A Pollica, o meglio a metà strada tra il bel porticciolo di Acciaroli e l’antico borgo di Pollica, individuate il ristorante Le Taverne: qualche piccolo appartamento per soggiorni estivi, una grande terrazza e un’ottima cucina – soprattutto di mare – a base di pesce freschissimo, verdure dell’orto e paste fatte a mano dalle signore davanti a voi. Da non perdere l’impepata di cozze e i fantastici fichi secchi con le mandorle.
4) Poco più in giù, affacciata sulla costa di Pisciotta – altro grazioso paesino diviso tra la parte bassa, con il porto, e il borgo antico arroccato in alto – la trattoria Angiolina è un luogo quasi mistico: un patio con piante e fiori, il rumore del mare in sottofondo, l’accoglienza di Rinaldo Merola e della moglie Ivana e una cucina eccellente diretta dalla mamma Angiolina. Il menu è suddiviso tra le proposte della tradizione (dall’imperdibile cauraro, solo in primavera, a tutto i piatti a base delle squisite alici di menaica) e quelle più originali, sempre buonissime.
5) A Policastro – il comune è quello di Santa Marina, sotto il quale ricade anche il grazioso porticciolo di Scario, anima mondana di questo angolo di Cilento – si trova quello che per tutte le guide è il miglior ristorante della zona, senz’altro il più raffinato: Il Ghiottone. Anche qui in cucina c’è una donna, la brava Maria Rina, che mescola ricette della tradizione e preparazioni moderne e accurate.
6) A Villammare, poco più che un villaggio di pescatori che d’estate si anima e ospita anche un festival di cortometraggi, la Cantinella sul Mare di Mario Riccardi (in cucina Nando Melileo) è l’alternativa ai tanti “ristorantini marinari” della zona: ambiente piccolo ma molto curato, con illuminazione suggestiva e runner ai tavoli, e una cucina di ispirazione ittica decisamente raffinata e originale, ben fatta. E a prezzi umani.
La Cantinella sul Mare, corso Italia, 129, Villammare di Vibonati (SA), tel. 0973/365442.
7) A Sapri, non è estate se non ci si ferma ad assaggiare i gelati di Crivella. Nato come chiosco ambulante più di 50 anni fa, oggi non è solo una gelateria ma il quartier generale di Enzo Crivella, vulcanico “promotore del territorio” , che qui riunisce le menti eccellenti del Cilento per improvvisati brainstorming da cui escono sempre fuori ottime idee. Per non parlare dei dessert dei migliori maestri pasticceri italiani, dei dolcetti tipici fatti dalle donne del luogo e, naturalmente, dei gelati. Novità dell’estate 2011, i “gelati-torta”, ovvero la trasposizione in pozzetto delle torte dei grandi maestri o delle “merendine” più golose: dalla Setteveli o l’Abbraccio di Venere di Mannori alla Fiesta, con cioccolato all’arancia, una goduria in strati e diverse consistenze da mettere nel cono.
Crivella, corso Italia, 54, Sapri, tel. 0973/603973.
8) Se avete voglia di una buona pizza, l’indirizzo è facile: sempre a Sapri, nella piazza Plebiscito, da Filippo’s, la spartana pizzeria di Filippo Mauro. Tavoli e sedie in plastica che invadono la piazza, tovagliette di carta, un menu che sembra quello di un fast food, tanta folla. E un’ottima pizza “napoletana doc”, qualche che sia il condimento che sceglierete, tra quelli proposti o creato da voi.
9) A proposito di ristorantini marinari. Non abbiamo nulla contro la categoria, a patto che la materia prima sia freschissima e ben cucinata. L’indirizzo giusto è, ancora una volta, a Sapri, o meglio al porticciolo privato della famiglia Mandola, più noto con il nome del capofamiglia scomparso qualche anno fa, Da Attilio. Il figlio Gianfranco – lo riconoscete per la divisa nera da chef e per i baffi à la Dalí – è uno che di pesce ci capisce qualcosina, nel sceglierlo e nel cucinarlo. Affidatevi a lui e non ve ne pentirete, i suoi tocchi di creatività non rendono certo meno buono il pesce che arriva ogni mattina dalle barche della zona.
Da Attilio, contrada Pali 3, Sapri, tel. 0973/391637.
10) Siamo arrivati al confine della regione, oltre c’è la Basilicata con Maratea. Allora ripiegate verso l’interno, direzione Torraca, per una cena alla Locanda del Barone. Accoglienza calorosa, un incantevole agrumeto interno e una cucina casareccia come quella di una volta, con sapori decisi e porzioni abbondanti.
Locanda del Barone, Str. Gaetani, 84030 Torraca, tel. 333 361 0633.
P.S. Entrambi i film citati, usciti nell’autunno del 2010, sono stati dedicati ad Angelo Vassallo, “sindaco pescatore” di Pollica, ucciso nel settembre 2010. È stato grazie a lui che ho scoperto Le Taverne, l’indirizzo n. 3, in un giugno di qualche anno fa. Nel mio piccolo, è a lui che dedico questo breve itinerario cilentano.
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[Crediti foto di copertina: Irene Grassi]
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