In un paese in cui i ristoranti giapponesi – o pseudo tali – spopolano ormai da nord a sud, con Milano come capitale della cucina nipponica in Italia, e dove ormai chiunque ha assaggiato, prima o poi, sushi e sashimi, è sorprendente che la bevanda giapponese per eccellenza sia ancora, per molti, una grande sconosciuta. Negli ultimi anni però l’interesse per il sake sta crescendo rapidamente, grazie a eventi dedicati a questo alcolico a base di riso e a momenti di approfondimento nel corso di importanti manifestazione gastronomiche, oltre all’impegno di alcuni locali che stanno cercando di diffondere anche questa cultura. Ma facciamo ordine…
Cos’è il sake e come si produce?
Innanzitutto si scrive – e si pronuncia – sake, non sakè (come indica anche la Treccani!). Contrariamente a quanto spesso sentiamo, non è un liquore o un distillato, non è vino né birra, ma una bevanda ottenuta dalla fermentazione del riso. Esistono varietà di riso utilizzate esclusivamente per la produzione di questa bevanda alcolica. La fermentazione è indotta da un microrganismo (una muffa) chiamato koji‐kin e dall’aggiunta di lievito (kobo).
Per chi vuole approfondire l’argomento, questo video spiega il processo di fermentazione:
Come si beve il sake? Gradazione alcolica, temperatura e servizio
La gradazione alcolicadel sake varia dal 13% al 16%.
Si può bere caldo o freddo, a seconda della stagione e del contesto. Secondo Marco Massarotto, fondatore de laviadelsake.it, sake sommelier (kikisake-shi) e Kyoto Tourist Ambassador 2015, “se i più delicati e raffinati danno il meglio di sé intorno agli 8°, come il vino bianco, restano comunque apprezzabili anche a temperatura ambiente. Alcuni tipi, poi, se riscaldati a bagnomaria sino a 40° o 50° sviluppano complessità, corpo e una piacevolissima bevuta, specialmente se accompagnati a piatti succulenti o con climi freddi o invernali”1. In genere la temperatura di servizio ideale è simile alla temperatura del cibo con cui viene servito il sake.
A seconda delle tipologie, si può bere in tazzine di terra cotta o di ceramica, oppure in bicchieri di vetro. Un altro recipiente tradizionale è il masu, una sorta di scatolina in legno di cedro.
Origini e storia del sake
Quella del sake in Giappone è una storia millenaria, inevitabilmente legata all’origine della coltivazione del riso. I più antichi scritti su questa bevanda si trovano in alcuni documenti cinesi del terzo secolo, che rivelano che “i giapponesi sono molto appassionati di sake” e “sono soliti berlo in compagnia nelle occasioni di lutto”. I templi scintoisti e buddisti iniziarono a produrlo tra il XII e il XV secolo, periodo in cui si svilupparono le tecniche moderne di fermentazione.
L’offerta nei ristoranti italiani
C’è sempre maggiore diffusione della cultura del sake e alcuni ristoranti, anche in Italia, stanno puntando su una proposta interessante, per far scoprire al pubblico le caratteristiche di questa bevanda alcolica che accompagna perfettamente le specialità della cucina nipponica. Zuma, ristorante situato all’ultimo piano di Palazzo Fendi a Roma, ne propone 40 varietà, incluso il Biwa no Choju, prodotto esclusivamente per Zuma con l’acqua del Lago Biwa nella prefettura di Shiga.
Come diventare Sake Sommerlier
Se la celebre bevanda ricavata dal riso vi affascina e vi interessa seriamente, è possibile seguire corsi organizzati dalla Sake Sommelier Association Italiana, che approfondisce anche il tema dei cocktail con questo alcolico. Per info: www.sakesommelierassociation.it
Anche la Via del Sake organizza corsi, riconosciuti dal “Wine and Spirit Education Trust” (WSET®) di Londra. Qui maggiori informazioni: laviadelsake.it/corsi/
I principali tipi di sake
Esistono vari tipi di sake, articolati in categorie che differiscono fra loro per la percentuale di sbramatura del riso e l’eventuale aggiunta di alcol al termine della fermentazione. Levigando il riso, si eliminano elementi indesiderati come grassi e proteine, garantendo una più spiccata aromaticità e una maggiore eleganza del prodotto finale.
Gli eventi e i libri
Anche in Italia, in tempi non-Covid, si svolgono e si svolti eventi dedicati a questo pregiato prodotto nipponico, come il Milano Sake Festival o il Japan Festival.
Per quanto riguarda i libri vanno segnalati, in lingua italiana, “Il libro del sake e degli spiriti giapponesi. Storia dei liquori nipponici, con cocktail e curiosità”, di Stefania Viti e Miciyo Yamada, e “Sake. Il Giappone in un bicchiere”, di Marco Massarotto.
[Fonte: www.japansake.or.jp]
[Nota (1): Identità Golose]
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Edoardo Mori says
Perché parla della lingua giapponese senza conoscerla? Il giapponese non ha gli accenti tonici e ogni sillaba si pronunzia con la stessa tonalità come se fossero staccate. Quindi né sàke né sakè, perché essi dicono “sa ke” proprio come quando noi diamo “tu mi dai”. Il nostro cervello però un accento lo vuol trovare e nelle parole corte lo applica alla fine, le parole lunghe le fa diventare piana. Così “ai ki do” diventa per noi aikìdo o aikidò e “Sap po ro” diventa per noi Sappòro.
La Treccani ha fatto bene a dire che in italiano si pronunzia sakè perché senza accento non sappiamo leggere la parola e per il nostro orecchio si è più vicini a sakè che non a sàke.
Cordiali saluti EM
Erica Battellani says
Treccani non dice solo che si pronuncia con l’accento, lo scrive con l’accento. Visto che non ci sono accenti nella lingua giapponese, perché aggiungerli in italiano? Cordiali saluti.