
Indirizzo: | Largo Dino Frisullo - 00153 Roma |
Telefono: | 06 5743548 |
Sito internet: | www.stazionediposta.eu |
Giorno chiusura: | martedì |
Fascia di prezzo: | 45-90 euro |
Tipo di locale: | ristorante |
Carte di credito: | tutte |
Andateci per: | la triglia e i cocktail |
Stazione di Posta è il ristorante all’interno dell’ex mattatoio di Testaccio, oggi la Città dell’Altra Economia, che ospita anche una delle due sedi del MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
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Luigi Nastri ha lasciato i ristoranti EIT e Stazione di Posta. Lo chef è approdato a Cortona grazie all’incontro con Tenimenti d’Alessandro, con cui ha sviluppato un nuovo progetto di ristorazione all’interno dell’azienda, l’osteria contemporanea Creta.
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Gigi Nastri è tornato. Dopo l’esperienza alla Gazzetta – uno dei bistrot di maggior successo a Parigi negli ultimi anni – e dopo un periodo di stop, eccolo ritornare in grande stile a Stazione di Posta, il ristorante all’interno della Città dell’Altra Economia. Non me ne voglia il precedente chef (Marco Martini, ora a The Corner), ma a me la sostituzione non dispiace affatto… Lo stile di Gigi mi piace molto di più, mi piaceva già ai tempi di Settembrini, ora poi che si nota una maggiore esperienza e un tocco internazionale, ancora meglio.
L’influenza francese si vede soprattutto nel menu: non c’è la classica divisione fra antipasti, primi, secondi e dessert, ma semplicemente una serie di piatti principali fra l’antipasto e il dolce. E poi una serie di formule degustazione estremamente flessibili per creare un percorso su misura del cliente: 3 passaggi a 45 euro, 4 passaggi a 60 euro, carta bianca (7 portate a 90 euro) e bimbi (3 piccole portate con succo o bibita a 15 euro).
Ma veniamo agli assaggi. Apprezzo il crudo di manzo con ricci di mare e mandorle (abbinamento interessante e sorprendentemente equilibrato), ma resto ammaliata dalla triglia con crema di provola affumicata, pomodoro, basilico e polvere di nero di seppia (il piatto della serata, ricco, gustoso, elegante, con una triglia cotta alla perfezione e una pelle croccante semplicemente deliziosa). Grande piatto anche il risotto alla colatura di peperone, calamari e coriandolo. Buono ma meno entusiasmante il manzo alla cenere con sedano rapa e bieta.
Divertenti, golosi e non pesanti i dessert: albicocca (in due consistenze) ricotta e lavanda e il dolce bianco, una sorta di mont blanc in cui la castagna è sostituita da un altro ingrediente di stagione che il cliente deve indovinare…
Ampia e di qualità la selezione di vini, che può essere sostituita dalle birre artigianali e dal bere miscelato. In effetti, come molti ricorderanno, Stazione di Posta è anche cocktail bar (potete tranquillamente fermarvi anche semplicemente per un aperitivo o per un drink dopo cena). Per tutta l’estate al banco troverete lo staff di Co.So. e Chorus, i locali di Massimo D’Addezio (che è in giro per il mondo insieme al Gambero Rosso…). Io ho concluso la serata con un rinfrescante e gradevolissimo “18 anni domani”: vodka, lime, sciroppo di passiflora e Van Damme bitter.
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Se l’intento era quello di farmi ritornare bambina, ci sono riusciti. Saranno le sfere di Campari che vanno a comporre il coockctail G&T della casa che tanto mi hanno ricordato quelle che trovavo nei biberon dentro la calza della befana – non si offenda il mixologist Emanuele – le cannucce che riprendono palesemente le candy (caramelle bicolor a forma di manico d’ombrello, per capirci), il pop corn al cacao, assai azzeccato nel foie gras anguria e speck, oppure i lecca lecca al frutto della passione ricoperti di cioccolato offerti a fine cena; fatto sta che per l’intera serata un tourbillon di ricordi ha invaso la conversazione del nostro tavolo. Ma andiamo con ordine.
Stazione di Posta (ristorante nato a fine 2012, di proprietà di Alessandro Pipero e Pino Cau) si trova nell’ex mattatoio di Testaccio, che oggi è diventato Città dell’Altra Economia, e dispone di uno spazio all’aperto enorme, ideale per le serate afose in quel di Roma. Appena si entra sembra di essere catapultati in un winebar newyorkese con il lungo bancone e un pianoforte. Qui abbiamo fatto aperitivo grazie ai preziosi consigli di Emanuele Broccatelli: Mure sorbet con Champagne e sorbetto alle more; Roasted Bellini con pesca arrostita, prosecco, pepe di Sichuan; G&T della casa con gin Tanqueray, cardamomo e ginepro e i suddetti cristalli di Campari; Gin & tea con Beefeater, limone, zucchero e bolle di tè verde. Tutti equilibrati e centrati. Un applauso dunque ad Emanuele, anche per l’invenzione geniale del portafiori fatto riciclando una lampadina (Paint your life gli fa un baffo!).
Una volta seduti a tavola siamo stati letteralmente coccolati dagli addetti alla sala, vestiti stile The Jerry Thomas Project, e dal giovane ed ecclettico chef Marco Martini (ex secondo di Antonello Colonna), che ad ogni portata spiegava ingredienti e tecniche di preparazione.
Sfizioso il benvenuto, ovvero le uova servite all’interno di un nido, dentro ciascun guscio un “succo concentrato” di carbonara, cioè uovo marinato, spuma di parmigiano, guanciale e ovviamente pasta (in questo caso una mezza manica). Della serie uno tira l’altro.
Originale la mousse di foie gras con arachidi – forse un po’ invadenti – una pellicola di anguria e un pop corn al cacao amaro, il tutto ricoperto da una spolverata di speck disidratato e, a completare, foglie di crescione. In poche parole, un crescendo di sapori, consistenze e temperature differenti; un vero e proprio allenamento per papille gustative e neuroni.
Quando ho sentito capesante all’arrabbiata, lo confesso, ho dubitato, invece anche per un amante, come me, di questi molluschi, è stata una sorpresa. Le capesante erano panate – una con olive e l’altra con paprika affumicata – poi accompagnate da una salsa all’arrabbiata e una di bagnacauda; con una pellicola di pomodoro al centro. A ultimare il piatto delle foglie di pimpinella.
Buoni i primi tra cui gli spaghetti ajo ojo di mare – una delle prime creazioni dello chef – cotti nell’acqua dei molluschi e mantecati con corallo di capesante e cozze disidratate. Il piatto che più rappresenta Marco è invece un matrimonio ben riuscito tra oriente e occidente: i ravioli al vapore fatti con mix di farina di frumento e di tapioca, ripieni di pollo alla cacciatora e riduzione di soia, serviti poi con un brodo di patate arrosto.
Tra i secondi spicca la pancetta di maialino croccante laccata all’aceto di mele con purè di patate affumicate, senape e cicoria al lampone. Anche qui lo chef è riuscito a ricreare un apparente caos di sapori nel piatto che hanno trovato giusta collocazione e logica al palato.
Marco non ama le cose razionali, adora sperimentare, a volte rischiando, ma con l’umiltà e la passione dei grandi.
La serata è giunta al termine tra lecca lecca al passion fruit, piccola pasticceria, discorsi nostalgici, qualche etto in più ma felici. E con una domanda irrisolta: chissà se era loro intento farmi ritornare bambina?
Annalisa Zordan, 19/07/2013
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Forse perché era una serata a tema, cucina del viterbese, ma l’ esperienza a stazione di posta è stata del tutto negativa, tanto che a distanza di 2 o 3 mesi non ricordo un piatto propostomi che abbia rievocato i profumi o i sapori della tuscia, ma solo una esasperante sperimentazione senza ne cuore ne anima.