
Chef emergenti alla Torre del Saracino
Anche quest’anno, in occasione di Festa a Vico, la Torre del Saracino – il ristorante di Gennaro Esposito e di Vittoria Aiello, affacciato sull’incantevole baia di Seiano – ha ospitato il pranzo riservato alla stampa Una promessa è una promessa: invece di invitare giornalisti italiani e stranieri per mettere in mostra la propria bravura e i propri piatti, oltre che la bellezza del luogo, Gennaro Esposito lascia infatti spazio ai giovani chef emergenti (qualcuno, in verità, ormai già emerso alla grande) e ai loro piatti. Un’imperdibile occasione per conoscere da vicino le giovani “promesse” della cucina italiana e per assaggiare le loro proposte, segnandosi magari dove vale assolutamente la pena di andare al più presto.
Nessuna gara tra i giovani chef, anzi sorrisi e collaborazione; io però mi sono divertita a dare i voti ai loro piatti, un po’ per gioco e un po’ sul serio, per raccontarvi senza troppi giri di parole le mie impressioni.
Solo un’informazione di servizio: dopo un assaggio “comparato” di caviale Calvisius – quello “tradizionale”, più dolce, e quello Siberiano, più intenso e sapido – le prime sei portate sono state servite in terrazza, a mo’ di aperitivo. Scelta saggia, visto che l’intero pranzo prevedeva 19 portate, ma che naturalmente cambia un minimo la percezione e la valutazione.
4 + stella: eccellente
4: ottimo
3: buono
2: discreto
1: non benissimo
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Sgombro, soia e albicocca – Francesco Palombo, Tenuta Esedra (Frosinone)
Piatto molto bello ed elegante nella presentazione, giocato sul contrasto tra dolcezze e acidità; forse il pesce passa un po’ in secondo piano, ma molto piacevole.
Carpaccio di animelle, crostini alla senape, insalata d’erbe e polvere di Primo Amore – Miro Mattalla, Consorzio (Torino)
Un’insolita versione “fresca” delle animelle che mi è piaciuta molto, con il gusto intenso del formaggio Primo Amore in evidenza.
- Valutazione:
Mini-stone – Giulio Coppola, La Galleria (Gragnano)
Buona e divertente la versione estiva e “mini” del minestrone (con tutte baby-verdure di stagione) di Giulio Coppola, penalizzata dalla scomodità di mangiare un piatto “brodoso” in piedi.
Gambero rosso di Ponza cotto e crudo, indivia belga, passion fruit e maionese di gambero e guanciale – Maurizio De Filippis, Riso Amaro (Latina)
Fantastica la materia prima cruda (e anche cotta, ovviamente) di questo piatto che forse mette insieme un po’ troppe cose ma risulta comunque molto buono.
Ricciola alla mediterranea con centrifugato di cantalupo – Vito Giannuzzi, Timo (Brindisi)
Bella l’idea del piatto tutto a crudo che mette insieme pesce e frutta, con l’aggiunta di elementi “mediterranei” come il pomodoro confit, la plovere di olive e una piccola meringa a dare croccantezza; ma il sapore del cantalupo (che ammetto di non amare molto) sovrasta un po’ troppo quello del pesce.
Cipolla rossa caramellata con robiola di capra girgentana e salsa alle fragole – Marco Cannizzaro, Km0 (Catania)
Un solo boccone, perfetto e stupefacente, giocato sui toni della freschezza: la cipolla fa da involucro al formaggio in un connubio tra dolcezza e acidità, la salsa di fragole tiene insieme il tutto e invece di risultare stucchevole esalta gli altri ingredienti spingendo ancora un po’ più su la sensazione di freschezza. Se questo è il benvenuto, vorrei assaggiare il resto del menu di Cannizzaro.
La seppia, il lampone e la cipolla – Vincenzo Esposito, Villa Franca (Positano)
Il primo piatto servito a tavola, delle “tagliatelle” di seppia “panate” e servite con una mini-quenelle di gelato al lampone e delle cipolle rosse marinate (e un’altra cosa scura e un po’ gommosa che non sono stata in grado di identificare). Un po’ sbilanciato, con troppa acidità e penalizzato anche dal confronto con il piatto precedente.
La triglia e la mandorla – Daniele D’Aleberto, BR1 (Pescara)
Un bel piatto, non indimenticabile ma sicuramente ben fatto e ben pensato. Molto “piaciona” la panatura della triglia che forse copre un po’ il sapore del pesce ma lo rende molto piacevole da mangiare, accompagnato da verdure croccanti e una salsa gradevole.
- Valutazione:
Come una zuppa di cozze… e polpo – Fumiko Sakai, Casa Mele (Positano)
Fumiko è da anni una delle più fidate collaboratrici di Gennaro Esposito, da qualche anno alla guida di questo ristorante di Positano. Il suo piatto è coraggioso e ricrea una cozza tutta da mangiare (guscio incluso, edibile e croccante) servita insieme a un guazzetto saporito di cozze e polpo dal sapore molto mediterraneo. Il tutto però risulta un po’ troppo “spagnoleggiante”, con una gelatina che copre la zuppetta e la rende molto meno gradevole del dovuto.
Spaghettone, bruciato di melanzane, coriandolo, pistacchi e gambero rosso – Davide Del Duca, Osteria Fernanda (Roma)
Avevo già assaggiato più volte questo piatto che mi piace tantissimo, e riesce a mettere insieme la sensazione rassicurante di un piatto di pasta con accostamenti di sapori inediti e intriganti. Bellissimo il contrasto tra il “bruciato” della melanzana con la polpa fresca e carnosa del gambero, la freschezza del coriandolo e la croccantezza dei pistacchi. Davide però – non solo in questa occasione – sceglie una cottura davvero molto “al dente”, per me altri 30 secondi nel bollitore avrebbero reso il piatto perfetto.
Finché il branzino va, lascialo andare – Massimiliano Mandozzi, Casta Diva (Como)
Posso dire la verità? Io questo piatto non l’ho proprio capito, nel senso che non ho capito cosa ho mangiato. Un raviolo con dentro del branzino (?), accanto una spuma bianca con della bottarga grattugiata, un brodetto con delle erbe… Altro non saprei dire, ed è un peccato.
Pasta ripiena di fave con consommé di pecorino di fossa e pecora – Gianluca Gorini, Le Giare (Cesena)
Già mangiando al suo ristorante, qualche mese fa, avevo avuto la conferma che Gianluca Gorini fosse un fuoriclasse, ma questo piatto è davvero pazzesco: il consommé è il frutto di una lentissima infusione delle bucce del pecorino in acqua a temperatura controllata, per diversi giorni, estraendone tutto il sapore intenso e pungente ma con grande eleganza. I bottoni di sfoglia perfetta racchiudono un ripieno di fave al tempo stesso fresco e leggermente amaro, semplicemente fantastico. Un grandissimo piatto.
Tomato pasta – Nikita Sergeev, L’Arcade (Fermo)
Nel piatto arriva una forchettata (già arrotolata) di linguine rosse, semicoperta da una foglia di bieta rossa. Ok, che non si tratti di “semplice” pasta al pomodoro mi sembra chiaro. L’assaggio lascia spiazzati: note dolci e leggermente aspre si mescolano a un deciso sentore di sangue dalle note metalliche forti e non troppo piacevoli. Solo dopo avrò la conferma che si trattava effettivamente di una salsa a base di sangue di maiale e umeboshi, forse con anche la ciliegia (ho letto dello stesso piatto a base di sangue e ciliegia, servito al ristorante e che qualcuno ha molto apprezzato). Apprezzo il coraggio, poteva essere un piatto interessante, ma manca di un requisito fondamentale: la piacevolezza.
Il gioco dell’oca – Alberto Basso, Trequarti (Vicenza)
Un piatto ben presentato, che richiama un po’ i “passi” del gioco dell’oca ma che mette insieme elementi francamente poco comprensibili: l’oca (ben cotta), dei rotolini di zucchina cruda che non aggiungono molto, una crema, una “sbriciolatura” per dare croccantezza, degli inspiegabili marshmallow al peperone… Pare che, mangiando tutto insieme e non separatamente come ho fatto io, il risultato fosse migliore, ma diciamo che non mi ha fatto impazzire.
Nocciola d’agnello in crosta di ortiche con fonduta all’erba cipollina – Giorgio Bartolucci, Eurossola (Domodossola)
Un piatto corretto, con la carne saporita e ben cotta ravvivata dalla crosta di ortiche, molto piacevole. La fonduta sparisce un po’, e la decorazione con fiori e strisce croccanti risulta un po’ superflua.
Asado napoletano – Luigi Salomone, Piazzetta Milù (Castellammare di Stabia)
Il giovane chef che ha preso il posto di Cristoforo Trapani alla guida del bel ristorante di Castellammare mette insieme la tradizione napoletana e le origini da griglieria del locale con questo asado napoletano: parte dall’idea dell’asado argentino, ma usa un tipo di carne (la “coperta di costata” un taglio povero della tradizione, spesso utilizzato per il ragù o le lunghe cotture) cotta a bassa temperatura e poi passata su brace a carbone. Lo chef vi abbina un chimichurri sui generis (dove la tipica salsa argentina viene rivista sempre alla partenopea con pomodoro, peperoni, peperoncino, erbe aromatiche), porro fermentato e una salsa a base di aglio e prezzemolo, il classico condimento per la carne arrostita fatta in casa. Lo serve con accanto un gelato al gusto “aglio, olio e peperoncino” che francamente ho trovato un po’ superfluo. Nel complesso un piatto interessante.
- Valutazione:
Delizia di limoni – Andrea Napolitano, Palazzo Marziale (Sorrento)
Ho apprezzato la versione “alleggerita” di questo classico dolce sorrentino, scomposto in tre parti principali (pan di Spagna, gelato al latte e bonbon al limone) con altri “punti” agrumati, ma la freschezza e pungenza del limone si perde un po’ ed è un peccato. Mangiando tutto insieme in un boccone unico (non facilissimo) si ricrea il sapore del dolce di partenza, ma allora a che pro scomporlo?
Mandorla, pomodoro vesuviano e basilico – Luigi Taglienti, Lume (Milano)
Ammetto di non essere una grande fan delle “capresi” in versione dolce, solitamente stucchevoli. Ma in questo caso Luigi Taglienti – non esattamente una “promessa” in sé, ma in procinto di aprire il suo nuovo indirizzo milanese – sbaraglia tutto con la mandorla, che dà un’inedita freschezza al piatto bilanciando bene note dolci e fresche anche grazie alla presenza dei pomodori e del basilico. Un bellissimo dessert.
Lampone, cioccolato e nocciola – Stefania Di Pasquo, Locanda Mammì (Isernia)
Stefania Di Pasquo, giovane chef molisana che finalmente riporta l’attenzione su questa regione gastronomicamente dimenticata, ha l’ingrato compito di chiudere un pranzo pantagruelico, per di più dopo un dolce come quello di Taglienti. Se la cava bene, con un dessert non memorabile ma corretto e piacevole, forse non perfettamente bilanciato tra l’acidità del lampone e la “pienezza” della nocciola.
Sempre sugli assaggi di Festa a Vico 2016, oltre ai piatti degli chef emergenti, leggi anche:
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