
San Sebastian Gastronomika è il congresso di gastronomia internazionale più anziano (se si considera che proprio nella bella cittadina basca nacque 16 anni fa Lo Mejor de la Gastronomía, il congresso ideato dal giornalista spagnolo Rafael García Santos poi spostatosi ad Alicante) e uno degli appuntamenti più attesi dell’anno per tutto il mondo gastronomico. E quella appena conclusasi è stata un’edizione particolare per l’Italia, paese ospite con ben 25 chef (ma anche pizzaioli, osti e gelatai) invitati a rappresentare il paese e a raccontare a che punto è la cucina italiana di fronte a una platea internazionale, numerosa e super-competente – praticamente il meglio del giornalismo gastronomico mondiale – quest’anno ancor più numerosa e cosmopolita.
L’occasione persa dell’Italia
Una grande occasione per l’Italia, che è andata in gran parte sprecata – come è stato rilevato anche da illustri penne nostrane, da Licia Granello a Marco Bolasco, senza troppi peli sulla lingua e sottolineando la necessità di cambiare rotta prima che anche il nostro patrimonio gastronomico tradizionale e innovativo finisca ai gradini più bassi della considerazione mondiale – a causa dell’incapacità di fare gioco di squadra da parte dei nostri (pur grandi e bravissimi) chef.
Insomma, mentre gran parte dei colleghi spagnoli, dai grandi maestri come Andoni Luis Aduriz o Martin Berasategui fino ai cuochi “regionali” da noi meno conosciuti come Aitor Arregui, magistrale interprete basco della parrilla di pesce al ristorante di famiglia Elkano, hanno presentato sul palco idee, concetti e tecniche che sembrano puntare in un’unica direzione – l’evoluzione della cucina e l’esplorazione delle sue infinite possibilità spesso anche in ottica sostenibile come nel caso dell’animismo gastronomico di Josean Alija, senza dimenticare la memoria ma usandola come trampolino di lancio per nuove idee – gli chef italiani sono apparsi più come singoli giocatori, pur brillanti, che come un affiatato team, mostrando come non ci siano oggi in Italia una “scuola” comune e degli obiettivi condivisi.
Non che siano mancate le ponencias brillanti e suggestive, tanto dal punto di vista tecnico – come ad esempio quella intensa e super-precisa di Niko Romito, che ha spiegato il suo modo di lavorare intorno agli ingredienti con un lavoro approfondito di ricerca che ne scompone l’essenza del sapore, per poi riscostruirlo con un’operazione di stratificazione di un singolo elemento fino ad arrivare ad una super-superficialità fatta di sapori intensi e quasi primordiali, capaci di soddisfare tanto il palato esperto e cerebrale quanto quello vergine e goloso – che da quello emozionale: vedi il racconto schietto ed efficace di Salvatore Tassa che ha portato sul palco di Gastronomika una coraggiosa e indovinatissima pasta al pomodoro “contemporanea” basata su sapori e tradizioni di ieri e conoscenze tecniche odierne (le tagliatelle fatte a mano vengono condite con olio extravergine a 40°, che penetra totalmente nella pasta fino a diventare ingrediente e non condimento, costituito invece da pomodoro disidratato e Parmigiano), o il bel progetto Cook The Mountain di Norbert Niederkofler che punta a rendere la montagna protagonista di una cucina “forzatamente” di stagione e di filiera corta, coinvolgendo i produttori locali e anche altri colleghi “montanari” di tutto il mondo.
Spazio ai giovani (e alla pizza)
Particolarmente convincenti soprattutto i due chef italiani più giovani e “internazionali” – per provenienza ed esperienze – Lorenzo Cogo e Matias Perdomo (uruguayano a Milano da molti anni all’Osteria Al Pont de Ferr): il primo ha presentato una ricetta ardita, omaggio alla grande tradizione della parrilla basca (non a caso ha lavorato anche all’Asador Extebarri) così come alla scuola giapponese, proponendo al pubblico a inizio mattinata un assaggio ardito, tutto giocato sui toni dell’amaro, con i testicoli di toro marinati con soia, sakè e miele, cotti sulla brace e accompagnati da radice di soncino e un “cocktail” a base di caffè e vermouth, omaggio all’Italia. Perdomo invece, è stato significativamente uno dei pochi a non dare per scontata la pasta – ingrediente feticcio della cucina italiana, ma forse da molti percepita come un vincolo o una limitazione, a parte la versione “eretica” della carbonara ad opera di Scabin con il suo piatto Black is black , carbonara “in nero” con pancetta, besciamella e cipolla oltre che nero di seppia – proponendo ben 5 piatti che sono il frutto della sua interessante riflessione su questo alimento, da lui valorizzato come ingrediente da studiare come altri, e su cui sperimentare nuove tecniche, e non semplice “ascensore per portare il sapore del sugo dal piatto alla bocca”, come sintetizza in un’efficace metafora. Vedi il goloso e divertente “panino” di pasta con sugo alla puttanesca o le diverse sperimentazioni sulla pasta – quella artigianale e di prima qualità – sottoposta a lunga idratazione per mutarne la struttura e scomporne gli elementi ricostruendone il sapore sotto altra forma. Perché, spiega Matias, la pasta per noi Italiani è talmente presente che solo se ce la levano, ne avvertiamo la mancanza. Persino il racconto della pizza, pur se narrato da personaggi come Enzo Coccia, Raimondo Cinque ed Enzo Piccirillo, maestro della pizza fritta alla Masardona, è risultato piuttosto floscio sul palco del Kursaal, mentre ha riscosso decisamente più successo nella versione live e popular fuori al palazzo dove i pizzaioli hanno proposto per tre giorni agli abitanti di San Sebastian le loro pizze appena sfornate: fila perenne, e momento clou con lo chef spagnolo Quique Dacosta che si fa insegnare da Coccia a stendere l’impasto alla perfezione.
Memoria, sensi e plancton
Ma, polemiche a parte, vediamo quali sono stati leit-motiv e gli ingredienti-feticcio della manifestazione (ogni congresso ne ha uno, che balza agli occhi come il più nuovo e gettonato oggetto di indagine da parte degli chef). Filo conduttore di molti interventi, sia spagnoli sia italiani, è stata appunto la memoria: tema trito e ritrito per alcuni, stufi di sentir parlare della cucina delle nonne e delle zie, ma – se maneggiato con cura e soprattutto da menti visionarie come in alcuni casi – punto di partenza imprescindibile per partire all’esplorazione di nuove strade e nuovi percorsi gastronomici. In Italia la memoria va soprattutto al territorio e al paesaggio come in alcuni degli interventi più convincenti, da quello di Pino Cuttaia – “Ci sono due cose importanti che non dimenticheremo mai: i profumi e il gesto”, dice lo chef siciliano – a quello di Gennaro Esposito, dedicato al tema del paesaggio come “insieme di natura, uomo, tradizione, materia, creatività” che lui per l’occasione sintetizza nel profumo unico dei limoni della Costiera, fino ai piatti “olfattivi” di Mauro Uliassi – “niente è più necessario dei sensi per la memoria”- come lo straordinario bagnasciuga che ricrea profumi, sapori e persino rumori della battigia di prima mattina, e agli omaggi letterari di Cedroni, che dedica al poeta marchigiano Leopardi dei piatti golosi, sensuali e ironici per strappare – a lui e ai commensali odierni – il sorriso. Anche per molti chef spagnoli la memoria ha a che fare con i sensi, ma attiene più a ricordi o suggestioni di viaggi vicini e lontani – come nel suggestivo intervento di Aduriz, che racconta in 5 piatti e 5 video (tra cui quello, da Oscar, dedicato a Venezia) altrettante esperienze alla base di alcuni dei più innovativi piatti del Mugaritz. A sensi e memoria, e ai sottili legami tra di essi, è dedicata anche la sprintosa ponencia di Jordi Roca che ha chiesto ai suoi collaboratori – tanto di cucina che di sala – di stilare le proprie associazioni sinestesiche tra sapori, ingredienti e colori per mettere a punto ricette multisfaccettate e speciali supporti di servizio per i suoi dessert visionari (l’impiattamento emozionale è stato al centro anche dell’intervento del fratello chef Joan, che oltre al suo concetto di cucina glo-cal ha mostrato i nuovi “piatti viventi” del Celler, capaci di reagire e interagire con il commensale ed il cibo). Il senso per eccellenza per Jordi rimane l’olfatto, e dopo i suoi famosi dessert-profumi ha proposto alla platea un ghiacciolo a forma del suo (esuberante) naso!
E veniamo all’ingrediente-star: il plancton. Prodotto sostenibile e nutriente, spiega Angél Leon, lo Chef del Mar del ristorante Aponiente di Puerto de Santa María, vicino Cadice, famoso per le sue sperimentazioni all’avanguardia e per l’attenzione all’ambiente. Dopo anni di studio, Leon ha ottenuto l’autorizzazione per il consumo umano di plancton marino, e quindi per la commercializzazione di questo prodotto che ha deciso di condividere con altri chef tra cui Quique Dacosta che nella sua ponencia ha preparato anche un piatto a base di plancton, lumache e salsa verde.
Conclusioni
Bilancio positivo per presenze e risonanza mediatica, quello di Gastronomika 2014, ma non del tutto per quel riguarda il mood e le sensazioni degli addetti ai lavori. In molti hanno lamentato una certa stanchezza della formula – problema comune a tutti i congressi gastronomici a 16 anni dalla loro nascita come format – e l’assenza di idee innovative da parte dell’organizzazione, orfana da alcuni anni del creatore Santos. Molti (soprattutto italiani) hanno anche criticato le modalità e i criteri di selezione degli chef invitati. Se era inevitabile, e sarebbe stato uno sbaglio, non chiamare a rappresentare l’Italia i nostri “assi” come Bottura, Cracco e Scabin, e se è stato bello vedere sul palco del Kursaal un artigiano serio e appassionato come Alberto Manassei della gelateria romana I Gracchi, di certo si sono notate delle grandi assenze: poche donne (solo Viviana Varese per l’Italia, come d’altronde Arzak e Ruscalleda per la Spagna), pochissimi giovani (solo Cogo e Perdomo), poca cucina popolare (solo Arcangelo Dandini, ma noi ci avremmo visto bene anche qualche rappresentante della trattoria italiana più verace), e soprattutto pochi, veri innovatori-ricercatori “di confine”, territoriale e gastronomico: non sarebbe stato bello vedere sul palco, ad esempio, anche Roberto Petza, Piergiorgio Parini, Paolo Lopriore o Corrado Assenza? Non avrebbero potuto raccontare un’immagine più sincera e immediata di quella che è la cucina italiana contemporanea?
Ad ogni modo, ormai è fatta. Appuntamento al prossimo anno a San Sebastian, con Singapore e Macao come paesi ospiti.
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