
Avocado: da frutto esotico raro a cibo di tendenza. Una parabola non priva di conseguenze.
Come già accennato nell’articolo “Food trends: le tendenze della cucina e della ristorazione”, l’avocado è passato dall’essere un frutto tropicale quasi introvabile, all’essere prodotto immancabile sulle tavole di questa torrida estate. Più conosciuto e apprezzato di anno in anno, con una crescita quasi esponenziale, nelle grandi città come New York, Londra e Roma sono sorti anche locali dedicati esclusivamente a questo frutto.
L’impennata di consumi ovviamente comporta la necessità di una produzione che cresca di pari passo, ma quali sono le conseguenze di questo aumento per i produttori e per l’ambiente?
Purtroppo la risposta è: enormi problemi. A partire dalla mancanza d’acqua. Per far crescere un avocado ne servono circa 70 litri di norma, ma in una provincia arida come quella di Petorca, in Cile, da dove arriva il 60% degli avocado consumati globalmente, sono necessari circa 320 litri di acqua per un solo frutto, più di 3 volte quello che serve a un essere umano per mangiare e lavarsi, stando all’OMS.
A questo punto è necessaria una precisazione: il regime di Pinochet ha reso legale nel paese la privatizzazione dell’acqua, il che significa che le ricche multinazionali che coltivano ed esportano gli avocado possono comprare le risorse idriche destinate agli abitanti della regione per vivere, per far crescere i redditizi frutti. Sebbene siano state individuate delle irregolarità, spesso questi possedimenti sono di proprietà di politici, ex politici, o dei loro parenti, pertanto le multe che ricevono sono minime e non ne comportano la chiusura. Va da sé che invece i piccoli produttori, privati dell’acqua comune, non riescono più a coltivare le proprie piante e si vedono costretti ad abbassare le saracinesche.
Per vivere gli abitanti di Petorca devono razionare la poca acqua a disposizione e usare quella che lo stato spedisce loro in grossi camion cisterna; peccato che, dalle analisi eseguite a spese delle associazioni sorte a difesa degli abitanti della regione di Valparaìso, spesso quest’acqua risulti contenere terra, cloro e livelli elevati di batteri, che fanno ammalare chi la beve, costringendo la gente a comprare acqua in bottiglia.
Come se questo non bastasse, chi vive nella provincia di Valparaìso deve fare i conti con problemi di respirazione e costanti bruciori agli occhi, conseguenza delle fumigazioni di pesticidi, fertilizzanti e ormoni effettuate sui campi, spingendo le famiglie con bambini che se lo possono permette ad abbandonare la propria casa.
Non è solo il Cile, principale fornitore di avocado per l’Europa, a pagare lo scotto del boom del consumo di questi frutti. Anche il Messico, produttore dell’80% degli avocado consumati negli Stati Uniti, sta risentendo di questa tendenza globale.
Difficile mettere in ordine di gravità le avversità che hanno colpito il paese. Certamente anche qui il problema della siccità non manca: per crescere un chilo di avocado servono approssimativamente 540 litri d’acqua, un volume che mette a dura prova le riserve idriche. Ma oltre all’acqua, è necessario anche lo spazio per crescere queste piante, cosa che sta alimentando la deforestazione illegale. La coltivazione di avocado è una delle più redditizie al mondo e in costante aumento, perciò gli abitanti dello stato di Michoacán, il più vocato per la produzione di questi frutti, stanno abbattendo le foreste circostanti per far spazio ai filari, ignorando le leggi messicane.
Ultimo fardello, non in ordine di pericolosità, è l’interessamento dei cartelli della droga messicani al mercato dell’oro verde. Il Guardian cita in un articolo dello scorso anno il cartello dei Caballeros Templarios, che pare stia gestendo una sempre maggiore fetta del mercato degli avocado messicani: un racket da oltre 3 milioni di dollari l’anno.
La notizia positiva è che dall’uscita dell’inchiesta del collettivo di giornalisti Danwatch dello scorso maggio, in Danimarca alcune catene di supermercati hanno dismesso la vendita degli avocado cileni; quella negativa è che questo ha avuto come conseguenza numerose minacce nei confronti degli attivisti locali.
Come citato dal bel reportage di Alice Facchini sull’Internazionale del 24 luglio di quest’anno, l’ONU ha inserito nel 2010 l’accesso a “un’acqua potabile sicura” tra i diritti umani essenziali e anche il Cile fa parte dei 122 paesi firmatari di questa sacrosanta risoluzione internazionale.
Fonti:
https://www.internazionale.it/reportage/alice-facchini/2017/07/24/avocado-cile-acqua
https://www.danwatch.dk/en/undersogelse/avocados-and-stolen-water/
Leggi gli altri articoli della sezione Cultura Enogastronomica. |
Lascia un commento