
Qualche settimana fa siamo stati alcuni giorni nel Vallese. La nostra guida è stata Steve Bettschen, giovane produttore perdutamente innamorato di questo territorio e dei suoi vini, proprietario di quella che altrove sarebbe considerata una minuscola azienda viticola, ma che qui, come vedremo, non è così lontana dalle dimensioni classiche delle tenute vallesane, anzi…
Il Vallese è una delle più importanti zone di produzione viticola della Svizzera a due passi dal lago Lemano, e si estende per circa 120 km da ovest a est lungo il corso del Rodano, più o meno da Martigny a Viège. Conta più di 5.000 ettari vitati, ma con una fortissima frammentazione della proprietà, visto che si contano circa 20.000 proprietari (di cui un migliaio in modo professionale), con una media di circa un quarto di ettaro per vignaiolo (Nel 71% dei casi si hanno aziende aventi dimensioni inferiori a 0,2 ettari, mentre solo l’1% delle aziende ha dimensioni superiori ai 3 ettari, 1% che costituisce l’11% della superficie vitata totale; d’altronde nel Vallese si parla di resa a metri quadri, non a ettaro!). La maggior parte dei vigneti si trovano su terreni particolarmente scoscesi, coltivabili solo grazie a dei terrazzamenti realizzati con muretti a secco (sono circa 4.000 gli ettari considerati con “difficoltà strutturali”, dall’altitudine, che va dai 500 metri fino ai 1100 della parte più orientale della regione, alla forte pendenza ai terrazzamenti) e vedono la presenza di un impressionante numero di vitigni (sono 49 quelli riconosciuti dalle AOC) per un territorio con una straordinaria biodiversità.
Va sottolineato che questa zona è una delle più secche di Svizzera, con un clima di tipo siccitoso. Sierre, per esempio, è il paese con meno precipitazioni di tutta la Svizzera, con una media tra i 300 e i 600 mm di pioggia all’anno! Le estati calde e asciutte rendono spesso necessaria l’irrigazione, i lunghi autunni soleggiati sono caratterizzati da importanti escursioni termiche fra il giorno e la notte e dalla presenza del Föhn, un forte vento secco, con maturazioni lente e vendemmie che di solito si svolgono a partire da fine settembre e possono proseguire per tutto il mese di ottobre (e per le vendemmie tardive anche molto più in là).
Il terreno è composto essenzialmente di granito, ricoperto da strati calcarei e argillosi che sono i sedimenti lasciati nel corso dei millenni dal fiume e dallo scioglimento dei ghiacciai. La maggior parte delle vigne si trova sul versante sinistro del Rodano, più caldo e soleggiato, ma il cambiamento climatico sta convincendo molti produttori a coltivare vigne anche su quello destro.
Da notare che il prezzo dei vigneti qui ha avuto un andamento quasi da bolla speculativa: meno di 15 anni fa è salito fino a 30.000 franchi a ettaro, per poi crollare e attestarsi oggi intorno a un decimo di quel valore.
Molto famosi in patria, visto anche che nel Vallese si produce circa il 40% del vino svizzero, e con una percentuale di vendita diretta in cantina che sfiora l’80%, tanto che di solito non ci sono listini prezzi diversi per la distribuzione e per l’acquisto dei privati, questi vini sono quasi sconosciuti all’estero (l’esportazione rappresenta lo 0,7% della produzione).
I principali vitigni a bacca bianca presenti nel Vallese sono lo chasselas, il sylvaner, la petite arvine, l’amigne, l’humagne blanc, e poi marsanne, savagnin, chardonnay, pinot grigio e moscato bianco, mentre tra quelli a bacca rossa spiccano per tipicità humagne rouge e cornalin, e poi pinot nero, gamay, syrah. I tre più diffusi sono pinot nero, chasselas e gamay, che da soli ammontano ai 2/3 della produzione. Elemento che aggiunge ulteriore particolarità a quanto di già molto particolare c’è in questa regione: i nomi dei vitigni sono differenti rispetto a quelli usati più o meno dovunque altrove. Ecco allora che il sylvaner è il johannisberg, il savagnin il païen o l’heida (entrambi i nomi vengono utilizzati sulle etichette), la marsanne è l’ermitage (o hermitage), il pinot grigio è la malvoisie, quello che in Valle d’Aosta è chiamato cornalin qui è l’humagne rouge, mentre il cornalin è un vitigno non presente in altre regioni. Difesa agguerrita dell’identità? “famolo strano”?… decidete voi.
Prima di cominciare la descrizione di quanto visto e assaggiato un “annuncio ai naviganti”: a seguito delle degustazioni è emerso chiaramente come il Vallese sia una delle zone al mondo in cui le uve botritizzate si esprimono al meglio, permettendo di realizzare vini all’altezza dei ben più conosciuti e prestigiosi Sauternes o Tokaji. Per tutto il resto, beh, buona lettura.
Simon Maye & Fils
Situata nella AOC Chamoson, l’azienda della famiglia Maye conta 11,5 ettari. I vigneti hanno una densità che va dalle 8.000 alle 20.000 piante per ettaro e vedono la presenza di 9 vitigni in due zone, quella di Chamoson e quella di Ardon, che grazie all’esposizione e al suolo calcareo con inserti argillosi si esprime al meglio con i vitigni a maturazione tardiva come la petite arvine. Qui Axel ci dispensa tre informazioni da ricordare che valgono anche per i prossimi assaggi: con rese limitate la syrah nel Vallese dà ottimi risultati con una notevole regolarità, poi certo i millesimi sono sempre differenti l’uno dall’altro; il pinot nero va vendemmiato presto – deve essere maturo ma non troppo – e avere delle basse rese, perché qui i pinot nero sono diversi da quelli borgognoni, hanno meno acidità; i due più grandi millesimi recenti (che per di più seguono il classico pensiero delle serie del numero finale dell’annata) sono il 1995, forse il più grande di sempre, e il 2005.
La sensazione alla fine della degustazione è che gli riescano particolarmente bene le grandi annate e che lavori per vini che emergono alla distanza.
Chamoson Païen ’11
Un savagnin dalle leggere note di frutta tropicale matura con sfumature floreali. Non di grande struttura, ma piacevole e di buona armonia e pienezza, con un finale dai toni morbidi e appena dolci.
- Valutazione:
Chamoson Humagne Rouge ’10
L’humagne rouge è il vitigno che in Valle d’Aosta è chiamato cornalin. Il naso è leggermente verde ma speziato, con note di pepe nero e sentori di terra umida e il palato è piacevole, fresco, di buona acidità, con carattere e grinta e un finale leggermente chinato in cui tornano le note di pepe.
- Valutazione:
Chamoson Pinot Noir Vieilles Vignes ’00
Resa di circa ½ kg per pianta da vigne di 60 anni “à petits grains”, tutto diraspato, maturato in barrique da 300 litri, 20% nuove. Naso bello, intenso, ricco, con note di rabarbaro. Sullo stesso tono il palato, non brillantissimo ma di buona tenuta e pienezza, più sapido che acido. Cede un po’ nel finale, che risulta abbastanza convincente ma appena fragile.
- Valutazione:
Chamoson Pinot Noir Vieilles Vignes ’95
Per Axel è il più grande millesimo che abbia vinificato e il più grande Pinot Nero che abbia fatto. L’approccio è strano. Un vino ancora molto scuro per l’età, ma poi… il naso è complesso, con note di spezie e sottobosco, accompagnate da sfumature di erbe aromatiche (maggiorana, timo). Il palato è teso, fresco ed elegante, complesso, sfaccettato e ancora dinamico, molto bello e lungo, più giovane del precedente 2000, davvero affascinante.
- Valutazione:
Chamoson Syrah Vieilles Vignes ’05
Diraspato e maturato in barrique da 225 litri, 30% nuove. Da piante di syrah portate in regione dal Rodano Settentrionale negli anni ’30. Materia, spezie e piccoli frutti, di discreta tenuta ma poco dinamico, pur essendo ben fatto e complessivamente piacevole risulta un po’ troppo pastoso per i miei gusti.
- Valutazione:
Chamoson Syrah ’92
Ancora senza la dicitura Vecchie Vigne, ma proveniente dalla stessa parcella. La prima annata di produzione è stata il 1985. Anche il ’92 è considerato un grande millesimo (come il ’90). Sfaccettato, complesso e speziato con note di erbe aromatiche, è suadente, con toni di piccoli frutti rossi, teso e fitto, ma anche disteso, sapido, lungo e dai tannini fini.
- Valutazione:
Dopo aver lavorato diversi anni nel mondo del trade del vino, Steve nel 2007 compra 2000 mq di arvine, per poi arrivare a circa mezzo ettaro coltivato in biodinamico, più un altro mezzo affittato dal 2008, anche questo gestito in biodinamica, e comincia a produrre nel 2009. Per differenziare i suoi vini da quelli che ottiene dalle terre in affitto ha creato due linee, Phusis (dalle vigne di proprietà) e Metaphusis. Contrariamente a quanto di solito si pratica in zona, Steve vuole dei vini che siano davvero secchi (anche se a volte è praticamente impossibile), quindi vendemmia spesso prima degli altri per evitare di raccogliere le uve parzialmente o completamente botritizzate. Una dimensione prettamente artigianale, che ritroveremo in quasi tutti i protagonisti delle nostre degustazioni.
Metaphusis Arvine Tzametzon Conthey ’12
L’arvine nel Vallese è spesso molto giovane, questo tuttavia è un vigneto di 25 anni a 650 mt di altitudine. Il vino ha avuto un leggero passaggio in barrique (2-3 mesi, più per non lasciare i legni vuoti che per dargli delle note caratteristiche) e ha fatto la malolattica, anche se ha comunque un’acidità di 6.7. Al naso di bella profondità e precisione, con note di erbe aromatiche e sfumature floreali, fa seguito un palato di buona tensione e precisione, sapido, quasi salato, lungo e nitido nonostante un leggero tono dolce e di frutta candita finale, che però non disturba. I 2-3 grammi di zucchero ci sono non per scelta ma perché non li ha consumati in fermentazione. Da notare che la base per le poche bottiglie di spumante che realizza viene dalla stessa vigna, con le uve raccolte 3 settimane prima e 11 di acidità.
- Valutazione:
Phusis Arvine Sensine Conthey V.V. ’11
Non filtrato, da un vigneto a 600 mt di altitudine. È un vino differente dalle altre Arvine del Vallese, le cui uve vengono raccolte a ottobre e che sono imbottigliati in giugno. Lui raccoglie a settembre, in questo caso a inizio settembre perché stava partendo la botrytis e qui basta una giornata di ritardo per ritrovarsi con le uve quasi completamente botritizzate, e imbottiglia 18 mesi dopo. Ha fatto due passaggi in vigna, raccogliendo prima le uve che avevano già un primo accenno di botrytis e poi quelle perfettamente sane, e le ha vinificate in due barrique nuove. I due vini hanno seguito un percorso parallelo, uno più ricco e grasso e l’altro più fine e nervoso, fino all’assemblaggio realizzato a marzo 2013, da cui sono uscite queste 600 bottiglie circa. Da considerare anche che il 2011 è stata un’annata calda (ma lui ha fatto fare comunque la malolattica). Complesso, pieno e ricco, si sente ancora il legno ma col passare del tempo nel bicchiere migliora, è un’Arvine quasi opulenta ma allo stesso tempo di grande freschezza, tenuta e tensione. Un vino da attendere. Un 3 quadri in questo momento, ma in prospettiva
- Valutazione:
Metaphusis Durize Clos de la Landzèlene Fully ’12
10,5° di alcol per un vino fatto con il durize, un vitigno quasi scomparso (ne restano 6.500 metri in tutto il Valais). Naso vegetale con note terrose e di frutti rossi freschi, palato un po’ rustico, fresco, semplice e coerente. I tannini sono un po’ verdi ma il vino resta comunque piacevole. Poco più di 300 bottiglie che contribuiscono a mantenere un po’ più di biodiversità nel mondo e a salvare il durize dalla scomparsa.
- Valutazione:
Phusis Rouge Oudain Sensine ’12
Poco più di 700 bottiglie per questo vino da humagne rouge 40%, gamay 40% e pinot noir, questi ultimi raccolti e vinificati insieme una settimana dopo l’humagne, per un terzo da uve non diraspate. L’annata è stata difficile a causa delle molte malattie, ma l’ha comunque realizzato, perché alla fine le uve rimaste erano molto belle e perché è l’ultima annata, visto che subito dopo la vendemmia ha dovuto spiantare la vigna complantata a pinot e gamay (ci ha piantato petite arvine). Il naso è leggermente selvatico, con note di frutti neri, spezie e una sottile affumicatura. Il palato entra ricco di frutto, poi resta un po’ ruvido ma sempre piuttosto teso, preciso e di buona lunghezza.
- Valutazione:
Phusis Humagne Rouge Oudir Sensine ’11
Da vigna di 10-15 anni e da uve 100% non diraspate, si presenta elegante, con note di frutti rossi e uva schiacciata, toni speziati e una sfumatura leggermente vegetale. Il palato è bello, teso, fresco nonostante l’annata e la risaputa poca acidità del vitigno. Un vino solido, che migliorerà nei prossimi anni, lungo e grintoso, nitido e puro. È in versioni come questa che l’humagne dimostra di avere davvero un grande potenziale. Ne sono state realizzate in tutto 144 bottiglie.
- Valutazione:
Claudy Clavien
L’azienda di Claudy Clavien possiede vigneti a Miège e Veraz, in tutto 6 ha, con una produzione di 22 etichette! Secondo lui ci sono troppi vitigni (ma va!!!) e vorrebbe ridurli, ma finché ci sono le vigne le utilizza (anche perché “ormai si pensa più a fare il grande vino che la quantità, e quindi anche piccoli numeri possono dare grandi soddisfazioni”). Quando riesce a raccogliere uve perfettamente sane non mette solforosa per la fermentazione. La malolattica la fa “alla borgognona”, cioè senza forzature, lasciando che avvenga da sola a primavera.
Tutti gli assaggi sono dell’annata 2013, da vasca, con assemblaggi definitivi che abbiamo valutato, o da barrique, con vini ancora da assemblare e che quindi non abbiamo valutato.
Fendant
Senza malolattica, è un Fendant fresco, pulito e piacevole.
- Valutazione:
Païen
Un vino di grande tensione, tutto giocato sulla grinta, con note di agrumi, di spessore e lunghezza, che conferma una mano che presta più attenzione all’acidità che alla morbidezza.
- Valutazione:
Petite arvine
Secondo lui è il vitigno simbolo del Vallese. Sempre molto vivo, teso e lungo, preciso e vibrante, davvero una lama, tra i migliori petite arvine secchi che abbiamo assaggiato.
- Valutazione:
Cornalin
Il Cornalin “d’annata” vinificato in solo acciaio, con tanto frutto, in particolare lamponi, e un palato fresco, piacevole, davvero grintoso e ben realizzato, per un vino tutto da bere.
- Valutazione:
Pinot nero
A suo parere la 2013 è un’annata eccezionale per il pinot nero, con tanto aborto floreale e una resa che oscilla tra i 300 e i 500 grammi a metro quadro (circa 35 hl/ha). Le maggior parte delle vigne da cui proviene sono giovani e sono state prese da Jacques Tatasciore, che ha selezionato cloni che danno grappoli con forti quantità di acinellature. Ci fa assaggiare due vasche differenti, tutt’e due sulla freschezza e ricche di acidità, con note di piccoli frutti particolarmente marcanti. Ci fa poi assaggiare una serie di barrique: il primo è da vigne di 35 anni, non diraspato, con un’entrata un po’ tentennante, cui fanno seguito note fruttate e di spezie. La successiva è da clone Tatasciore: tensione e piccoli frutti rossi freschi, precisi e grintosi, prima annata di produzione da vigne situate molto in alto, per un vino davvero affascinante (che presenta un PH di 3.3). La terza barrique proviene da una vigna in zona fredda, esposta a nord. Bella tensione e grinta sempre ben gestita. L’assemblaggio finale promette bene.
s.v.
Cornalin
Da barrique nuova e dalla prima vigna cha ha piantato, trent’anni fa, risulta fruttato e aromaticamente ricco e complesso, di grande acidità e tenuta senza essere verde. Convincente e molto piacevole. Da vigna più giovane invece viene l’altra barrique di cornalin che ci fa assaggiare, con un vino più sapido ma un po’ asciugato e con un finale meno brillante.
s.v.
Syrah
Chiudiamo con due Syrah, la prima da barrique nuova, fresca e aromatica, ora troppo segnata dal legno ma promettente, la seconda invece ricca e potente, da masticare, importante. L’assemblaggio finale dovrebbe essere particolarmente interessante…
s.v.
Lascia un commento