
Si dice spesso che al Vinitaly ci si va soprattutto per incontrare amici, colleghi, clienti, ma non per degustare, visto il caos della folla, la temperatura di servizio dei vini, il rumore, ecc. Poi si torna a casa e qualche tempo dopo si riaprono i taccuini e si trova una serie di appunti… piuttosto considerevole. Ecco allora alcuni vini assaggiati nell’ultima edizione veronese.
Pietracupa
Allo stand di Sabino Loffredo le sorprese sono all’ordine del giorno, e così una semplice anteprima dei suoi vini si è trasformato in una serie di assaggi che hanno spaziato su 10 anni di produzione.
Fiano di Avellino ’13
Al naso è ancora inespresso, ma che palato: intenso, fitto, di bella tensione e sapidità, con un finale lungo e dai toni agrumati davvero convincente.
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Greco di Tufo ’13
Agrumi dolci, aranci e mandarini, per un vino carnoso, spesso, di notevole lunghezza, portato da singole vasche (non ha ancora fatto la massa), evidentemente molto indietro ma anche molto promettente.
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Greco di Tufo G ’10
La sua selezione, da vigneti situati a Santa Paolina. Sabino lo farà uscire nel 2015 e credo che abbia ragione. Un vino materico, teso e minerale, di grande spessore e profondità, ancora in pieno sviluppo, con le potenzialità per essere il più buon Greco che abbia mai prodotto. In prospettiva
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Greco di Tufo ’03
Ancora in piena forma: ricco di frutto, fitto, senza nessuna traccia di cedimento. Impressionante.
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Greco di Tufo ’04
Nello stile che Sabino riesce spesso a dare a questo vino: è carnoso, pieno e di bella lunghezza. Dieci anni ben portati per un vino longevo nonostante la difficile annata.
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Greco di Tufo ’05
Splendido: vivido, brillante e fitto insieme, con un’acidità tesa che sostiene la tanta materia in modo davvero convincente. Agrumi, spezie e toni minerali in primo piano, con ancora tanta strada davanti, almeno per chi resisterà alla tentazione di berselo immediatamente.
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Fiano di Avellino ’03
Fa una pallida figura rispetto al suo coetaneo: meno brillante e teso, può ancora dare delle soddisfazioni, ma nella discrezione e solo se gli si dedicano le giuste attenzioni.
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Fiano di Avellino ’04
Piacevole ma leggero, quasi insostenibilmente.
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Fiano di Avellino ’05
Si risale vertiginosamente, per integrità ma anche per complessità, ampiezza, compiutezza. Un vino tutto da bere, di grande soddisfazione.
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Taurasi ’10
Ancora in affinamento, ma l’annata non tradisce, tanto che per quanto mi riguarda questo è il miglior Taurasi mai realizzato da Sabino. Frutto rosso croccante, con toni di grafite, sapido, dinamico, con tannini fini e setosi per un finale elegante e giocato sulla freschezza.
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Taurasi ’08
Buon frutto e tannini piuttosto fini, sempre con note minerali in sottofondo. Ben fatto ma oscurato dal 2010.
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Paltrinieri
Tra i migliori interpreti del Lambrusco (forse il migliore…), in particolare di quello di Sorbara. I vini di questa piccola azienda in questi ultimi anni sono diventati i miei Lambrusco preferiti e gli assaggi di Verona non hanno fatto che confermarmi in questa convinzione.
Lambrusco di Sorbara La Piria ’13
70% sorbara, 30% salamino. Un Lambrusco teso, di grande acidità, come nello stile della maison, fresco e immediato, molto piacevole.
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Lambrusco di Sorbara Sant’Agata ’13
Sorbara in purezza, è nitido nei suo toni di piccoli frutti. Sempre di grande piacevolezza, spinge meno sull’acidità e trova un maggior equilibrio.
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Lambrusco di Sorbara Leclisse ’13
Sorbara in purezza dal colore particolarmente scarico realizzato con il metodo charmat lungo (90 giorni in autoclave). Colpisce per il suo equilibrio, di un livello superiore rispetto al Sant’Agata: note di sottobosco e di piccoli frutti rossi, è più fitto e ricco ma sempre con la stessa tensione e piacevolezza. Chiude molto lungo dando la voglia di berne un altro sorso. Alla cieca non sarei stupito se lo si scambiasse per uno Champagne Rosé.
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Lambrusco di Sorbara Radice ’12
Sempre da sorbara in purezza, sconta l’annata non certo brillante con un po’ di brillantezza in meno rispetto a Leclisse, anche se si conferma piacevolissimo, di grande spessore e finezza.
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Cantina di Mogoro – Il Nuraghe
Vinitaly è anche l’occasione per lasciarsi sorpendere da vini difficili da trovare e vitigni quasi scomparsi, com’è il caso dei prodotti di questa cantina cooperativa, che accanto al classico cannonau dedica tutti i suoi sforzi a far brillare uve come il semidano o il bovale.
Sardegna Semidano di Mogoro Anastasìa ’13
Dal vitigno omonimo, ha un naso molto particolare e di carattere, ricco di note di rosmarino che si ritrovano anche al palato, tutto giocato sulle erbe aromatiche, teso, fresco, sapido, di buona ritmica e precisione.
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Sardegna Semidano di Mogoro Puistéris ’10
Impressionante per la complessità e l’ampiezza dei profumi, declinati in particolare nei toni minerali e di frutta bianca. Il palato è coerente, ancora molto giovane, sapido e di grande lunghezza, segnato anche in questo caso da sentori di erbe aromatiche. Un vino di grande fascino, tra i migliori bianchi sardi che abbia mai assaggiato.
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Terralba Tiernu ’12
Il protagonista del Terralba è il bovale, che qui ci dà un vino succoso e piacevole, giocato sui frutti rossi freschi, tutto da bere.
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