
Si avvicina la fine dell’anno e come al solito ho cominciato a riordinare i vari appunti di degustazione. Così è saltato fuori il taccuino del Vinitaly, e scorrendolo mi sono accorto di aver assaggiato e annotato più di 250 vini.
Ecco allora, con il solito tempismo che mi contraddistingue, alcuni tra i più interessanti e convincenti di quegli assaggi. Il Castello di Monsanto della famiglia Bianchi può essere considerato come una sorta di archetipo dello “Château Chiantigiano”, ed è una delle poche realtà italiane che può proporre uno storico di mezzo secolo, e questo anche in un contesto non propriamente ideale per assaggi ponderati e riflessivi come il Vinitaly.
Accade così che l’ultimo pomeriggio, grazie ad Antonio Boco, ci si trovi in piedi allo stand, coccolati da Laura Bianchi, non a degustare i soliti vini in anteprima ma a fare un imprevedibile viaggio nel tempo con alcuni tra i migliori Chianti che io abbia mai incontrato.
Fabrizio Bianchi Chardonnay ‘13
Uno Chardonnay come “amuse-bouche”: ben realizzato, nitido e fruttato, ma non scocca la scintilla.
Chianti Cl. Il Poggio Ris. ‘10
Naso lussureggiante, con note di spezie e buccia d’arancio. Il palato è ricco, speziato, ma anche con un bel frutto fresco e croccante, dinamico, lungo e grintoso. L’impressione è che abbia di fronte una vita assai lunga e prodiga, ma allo stesso tempo sia già in grado di dare grandi soddisfazioni per la sua bevibilità.
Chianti Cl. Il Poggio Ris. ‘95
Fine ed elegante nei suoi toni di spezie e sottobosco, mette in luce un palato profondo e dinamico insieme, avvolgente e verticale, tonico e saporito. Un vino disteso, setoso e di grande lunghezza, che dà l’impressione di aver raggiunto solo adesso la maturità e da bere da oggi per i prossimi vent’anni.
Chianti Cl. Il Poggio Ris. ‘78
Qui si entra quasi in una dimensione esoterica: note agrumate, in cui spiccano i sentori di chinotto, e poi idrocarburi, china e radici, a vestire un palato ancora grintoso e dinamico, con una leggera sfumatura amara ma sempre molto vivo e con un finale in cui il frutto fresco torna a riappropriarsi del palato in un modo impensabile per un vino di 37 anni. Lungo, elegante, affascinante.
Chianti Cl. Il Poggio Ris. ‘68
L’inizio è drammatico: poco invitante, con un sospetto di tappo (Laura Bianchi dixit). Poi il brutto anatroccolo diventa cigno: fossimo stati in una degustazione alla cieca, avrei pensato a un vecchio Borgogna, per quel suo essere ancora tonico, definito e dettagliato come un grande Gevrey. Si chiude con toni di cacciagione appena frollata e di frutto dolce, per un vino splendido, di stremata delicatezza ed estrema eleganza.
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