Non mi capita spesso di bere i vini di Paolo Scavino, ma il caso ha voluto che in pochi giorni con un paio di amici se ne siano aperte due bottiglie. Il Rocche dell’Annunziata ’96 è sicuramente un ottimo vino, ma ancora giovane e senza quello slancio che mi ha affascinato nella magnum del Cannubi ’85.
Certo la ’96 – annata subito considerata come una delle più grandi di sempre, soprattutto per la longevità che sembrava (e sembra ancora) garantire – da qualche anno “sottovoce” viene un po’ criticata per il suo totale “immobilismo”, visti i tannini ancora completamente inchiodati e gli aromi ancora senza la terziarizzazione e la complessità sperate e “normali” per dei Barolo di 16 anni…
A tutto questo però nel nostro Rocche si è aggiunta anche una nota legnosa e di vaniglia che proprio non voleva saperne di integrarsi, lasciando un finale tendente al dolce che non invitava al secondo bicchiere. Insomma, una bottiglia con inequivocabili qualità, dalla ricchezza della trama alla lunghezza e alla profondità, ma che in questo momento non risponde completamente alle attese.
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