La sera prima di partire sono seduto al mio tavolo, davanti a me c’è il programma del Food Festival di Olio Officina, il progetto ideato dall’oleologo e scrittore Luigi Caricato con l’obiettivo di raccontare l’olio extravergine d’oliva, il mondo che vi sta attorno, il lavoro che c’è dietro, l’importanza di un prodotto che tutti ritengono fondamentale, ma a cui pochi dedicano ancora la giusta attenzione.
Leggo che a Palazzo delle Stelline, splendida location del Festival all’ombra di Santa Maria delle Grazie (con tanto di Cenacolo vinciano dentro), ci si potrà sbizzarrire con degustazioni e conferenze, si potranno ammirare le Forme dell’Olio, con le opere degli artisti che hanno partecipato al concorso dedicato al packaging degli oli, si potrà parlare con i produttori che presidiano ai propri stand.
Ho in mano la penna, davanti a me l’agenda su cui dovrei scrivere il mio programma personale (gli eventi sono troppi, so già che non potrò partecipare a tutti, sarebbe impossibile), magari qualche domanda da tenere pronta all’uso, ma non lo faccio. Decido di partecipare così, all’avventura, di vivere il Festival come semplice di visitatore, lasciarmi sorprendere, farmi trasportare dalla corrente senza stare a pensare cosa chiedere a chi. È un evento sull’olio, voglio ascoltarne il racconto. Percorro mezza Milano senza vederla, passando da una metropolitana all’altra; quando emergo la giornata è tipicamente milanese, il cielo è grigio e pioviggina, i mattoni rossi della cupola del Bramante sembrano luci accese per segnalare l’ingresso al Festival.
All’ingresso una signora mi accoglie sorridente, mi consegna il sacchetto di stoffa con il logo di Olio Officina e il programma, mi dà qualche dritta sugli eventi che stanno per iniziare. La ringrazio, entro.
Passo tra file di opere d’arte realizzate manipolando – indovinate – latte per olio da cinque litri, oppure l’olio stesso, raccontato plasticamente (come direbbero gli esperti d’arte). Sono i primi racconti a cui assisto, quasi il proemio del cantare, che subito si fa interattivo.
Mi avvicino al primo stand, mi colpisce il nome dell’azienda e forse anche quell’uomo seduto, pensieroso. Rappresenta la Fattoria del Torquato di Filippo e Italo Giancola, due fratelli abruzzesi che dal 1970 si dedicano all’olivicoltura. Inizia il racconto e apprendo subito che gli stessi produttori attendono le conferenze per aggiornarsi, per capire: – Sto aspettando questa – mi dice, indicandomi con l’indice il programma alla voce “Scaffale degli oli. Cosa mette nel carrello il consumatore”.
Saluto l’Abruzzo, faccio due passi e leggo Sommariva, alzo lo sguardo: c’è Agostino Sommariva. Di lui e della sua azienda di Albenga, in Liguria, ha scritto anche Giorgio Boatti in Portami oltre il buio. Campione del mondo di vela, Agostino Sommariva mi invita subito a dargli del tu, è cordiale, simpatico e mi racconta (ci raccontiamo) della necessità di diffondere la cultura dell’olio, dei troppi luoghi comuni – falsi – diffusi. Del frantoio centenario di famiglia Agostino ha fatto un museo, che è poi divenuto anche un centro culturale: il Museo Sommariva “Civiltà dell’Olio”. Vedo le olive in salamoia, me ne descrive la nascita: si raccolgono, si lavano, si mettono in una salamoia che viene cambiata più volte e si fanno riposare mettendole a strati intervallati dal panni. Semplicità e competenza.
Passo al mondo del blend, delle miscele di oli create per precisi momenti dell’attività in cucina. La sanno lunga quelli di Olitalia, che producono quasi esclusivamente blend, tra cui il “Pizzolivm”, un extravergine approvato dall’Associazione Verace Pizza Napoletana.
Il Sud è rappresentato dalla Puglia, dalla Basilicata, dalla Sicilia. La prima con le aziende Corona delle Puglie e Olère, di Andria e Ostuni rispettivamente. Il racconto dei pugliesi si fa più acceso quando si tratta il tema xylella, a entrambi chiedo un parere sulla situazione, entrambi chiariscono che il problema non riguarda tutta la Puglia, ma solo una parte del Salento e che comunque non ha nessuna influenza sulla qualità degli oli, ma soltanto sulla vita delle piante. Lo sapevate no? La Basilicata è presente con l’unica DOP: Vù, un blend creato da cultivar locali, quelle che crescono appunto nella zona del Vulture, un ex vulcano coltivato a olivi dai tempi della Magna Grecia. La Sicilia è presente con l’OP Asso-olivo, cooperativa di olivicoltori che dimostra come l’unione faccia la forza, visto che si tratta di oltre 5.000 aziende cooperanti (olio pazzesco! per odore e sapore).
Il profumo incredibile degli oli del Sud non copre quello dell’umbro Ranieri, azienda in espansione in tutto il mondo (fanno un olio amaro e con una percentuale di polifenoli incredibile).
Ma Il Festival è anche “food”. Partecipo, in sala Chagall, alla degustazione diretta da Chiara Coricelli e scopro realtà incredibili: olio di sesamo, di cocco, di canapa, di avocado. Veri e propri ritrovati della gastronomia serviti con piatti altrettanto gustosi con l’intento di esaltare entrambi. Qui il racconto è rivolto al gusto (magnifico il filetto di tonno in crosta di sesamo da abbinare all’olio di avocado).
Stand dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier), il racconto continua e apprendo che ci si prepara a portare in “aula” l’olio, a spiegarlo, a impararlo. Tra qualche anno la carta degli oli accosterà quella dei vini nelle sale dei ristoranti.
Intanto, in sala Bramante, si racconta un’altra storia, quella di D’Annunzio e gli olivi, con Giordano Bruno Guerri (presidente del Vittoriale) e l’incontro “Gabriele D’Annunzio, Il Vittoriale, gli olivi, l’olio”.
Noto che sono in molti a fermarsi a un tavolo dietro al quale stanno sole donne, sono le rappresentanti dell’Associazione Nazionale Donne dell’Olio. Decido di aspettare il momento giusto per avvicinarmi, magari la calma del pomeriggio, per poter ascoltare un racconto che prevedo interessante. Così è. Sono produttrici provenienti da tutta Italia, con lo scopo di promuovere solo oli di alta qualità (sono tutte assaggiatrici) prodotti da loro stesse. Donne entusiaste, decise a portare avanti il loro progetto senza compromessi (più volte sottolineano l’interesse per la qualità e l’importanza dell’iter di assaggio e selezione che precede l’accoglienza nell’Associazione). – Perché una grande donna deve stare dietro un grande uomo? – mi chiedono.
Manca poco per la conclusione del Festival e, davanti all’ingresso della sala Bramante, vedo Luigi Caricato con in mano alcune pergamene in mano (sono i premi da consegnare ad artisti e produttori distintisi nelle loro attività). Non è necessario che gli chieda l’intervista, è lui stesso ad avvicinarsi. Mi rendo conto che ha molto da fare, mi presento e gli propongo di parlare camminando (non si chiede l’intervista a un direttore d’orchestra nella pausa tra un brano e l’altro di un concerto). Mi racconta dell’importanza del linguaggio nella promozione e nella diffusione della cultura dell’olio. Ancora oggi sembra esserci una sorta di blocco, da parte dei produttori. – Ho provato a far raccontare l’olio ad alcuni e non sapevano farlo, è come se ci si fosse fermati all’Ottocento.
Cosa consiglia ai giovani che vogliono entrare nel mondo dell’olio? – Cambiate il linguaggio. Raccontate.
Ormai è buio fuori da Palazzo delle Stelline. Il profumo dell’olio mi accompagna a casa, in mente le parole e le immagini, ma anche i sapori, del Festival. Il piano di non avere un piano ha funzionato. Ora, come diceva Calvino, non resta che fare decantare i ricordi, per poi scriverne.
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